– Nonno, presto! Vieni a vedere.-
L’uomo, arrancando la gamba e sotto il peso degli anni, si affrettò come poteva per raggiungere il nipotino attraverso la stretta passerella tra gli scogli, in prossimità del faro che guardava verso il golfo di Augusta.
– Sono stracci – gridò. -Vieni su!
Il bambino lo fissava, tremando, il viso scolorito dalla paura. Il vecchio, allarmato dal pallore del nipotino, si spinse giù maledicendo il suo arto farlocco e giunse, annaspando, finalmente nel punto indicatogli da Salvuccio.
Trovò non cenci, ma vita stracciata di un uomo appena abbozzato e martoriato dal sole, dal sale e dal dolore.
Il mare l’aveva rigurgitato, sazio di sangue e di morte.
L’anziano pescatore coprì gli occhi del piccolino: non era ancora pronto per la scena di morte.
E mentre abbracciava la vita, la morte lo graffiava, lo afferrava, lo stringeva e lo riportava giù tra i gorghi del mare, laddove il figlio ha la sua casa, ormai.
Era giovane Salvatore, era testardo e cocciuto, voleva scappare dalla fame e dagli scheletri della guerra. Voleva partire, attraversare l’oceano, andare là dove si diventa ricchi. Non aveva paura Salvatore, che lui il mare lo conosceva da quando era nato. Gli era amico, diceva. Il padre vendette la barca, l’unico pezzo di terra e racimolato un misero gruzzoletto lo pose nelle mani di quel figlio speranzoso. Poi si chiuse nel silenzio. Venne la notte dell’imbarco, parenti e amici, vicini di casa e curiosi si accalcarono davanti alla casa per salutare il giovane. Solo il padre non c’era, era andato nella spiaggetta dove il trafficante attendeva il carico umano. Salvatore giunse con il suo piccolo bagaglio e un fagotto con pane, formaggio e olive e quando nell’oscurità notò la sagoma curva del padre si schiarì la voce e, ricacciando indietro le lacrime, disse: -Pà, tonerò presto, solo qualche anno in Argentina. Troverò un lavoro e con un po’ di sacrifici metterò da parte un gruzzoletto. Stai tranquillo, saremo ricchi e sazi. Comprerò un vestito bello alla mamma e le lenzuola di mussola per la dote di Carmela. E poi vi scriverò, vi racconterò ogni giorno della mia vita. Le sue ultime parole. Partì.
Il bastimento carico di pene e speranze affondò e con lui i sogni di centinaia di disgraziati.
Il vecchio pianse, piansero tutti su una bara vuota. Un dolore mutilato per anni e anni.
Scrollatosi il triste ricordo, liberò il bambino dalla stretta e lo mandò via.
Era giunto il momento: si chinò, dunque, sul corpo inerme e lo abbracciò, appoggiò le labbra sulla fronte e cullandolo, accompagnato dal suono della risacca, sussurrò: -Sei tornato, figlio mio.
Tornò in casa, afferrò un bacinella di zinco, una tanica di acqua dolce e una spugna di mare e prese qualcosa dall’armadio. Li caricò sulla carriola che giaceva da qualche tempo abbandonata nel retro della casupola e corse di nuovo verso il mare. Il ragazzo era riversato sullo scoglio, il ventre gonfio, la carne lacerata; lo lavò dolcemente, lo cosparse di olio e lo avvolse in un candido lenzuolo di mussola: il suo sudario. Lo caricò sulle sue spalle, espiando il senso di colpa per aver lasciato andare quel figlio testardo e lo riportò dalla moglie e dalla figlia. Lo adagiarono sul letto e piansero nuovamente per quel figlio e per tutti i figli del mare.
Sulla tomba, ancora vuota, scrissero finalmente: Salvatore è tornato. E una data: 18 aprile 2015.
Bellissima e tristemente attuale…