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Ciconte racconta il “1992. L’anno che cambiò l’Italia”

di | 2023-05-19T20:48:12+02:00 21-5-2023 5:20|Attualità, Sezione 5|0 Commenti

RIETI – “La guerra fredda è terminata, ma i morti non riposano in pace” scrive Enzo Ciconte nel suo ultimo libro “1992. L’anno che cambiò l’Italia” da Mani Pulite alle stragi di mafia (ed. Interlinea), presentato all’ex chiesa di San Giorgio a Rieti, dove si è svolta una tavola rotonda organizzata dalla Fondazione Varrone, con la partecipazione dell’autore, di padre Lucio Boldrin, cappellano del carcere di Rebibbia, Gabriella Stramaccioni, fondatrice di Libera e garante dei detenuti.

Enzo Ciconte, autore del libro sul 1992

Enzo Ciconte è docente di storia delle mafie italiane all’università di Pavia, dal 1997 al 2010 è stato consulente della commissione parlamentare antimafia e sa quindi bene di chi e di cosa parla. Il suo primo libro fu “Ndrangheta dall’Unità a oggi” (Laterza) e proprio la ’Ndrangheta, dopo l’errore commesso da Riina con l’uccisione di Salvo Lima, la strage di Capaci e Via D’Amelio, ha preso il sopravvento, estendendosi al Nord, con grande capacità di penetrazione. Tutto ebbe inizio con la richiesta di Falcone di cambiare il giudice della Cassazione al maxiprocesso, rimuovendo il giudice Corrado Carnevale, detto anche ‘ammazzasentenze’, spiazzando Riina che aveva rassicurato i suoi, sentendosi al sicuro.

La reazione di Riina doveva essere di grande effetto, ma fu un boomerang per i Corleonesi. “Falcone sapeva che Andreotti e Martelli avevano bisogno di lui e sapeva anche che lui aveva bisogno dei due per mettere al riparo l’esito del maxiprocesso che avrebbe dovuto passare sotto le forche caudine predisposte da Carnevale”, scrive Ciconte. Fino al 1992 l’Italia, paese Nato, al centro del Mediterraneo (di fronte a Israele e di fronte ai Paesi Arabi, sede del Vaticano), con un Partito Comunista forte, presidio per una sempre temuta invasione da Est delle truppe del patto di Varsavia, una forte presenza di servizi segreti, era stata una pedina centrale durante la ‘guerra fredda’.

Padre Lucio Boldrin

Nel 1992 tutto cambia: cade il muro di Berlino, si dissolve l’Urss, c’è la crisi economica con il prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti. “E’ tempo di ridefinire tutto e immaginare una nuova classe dirigente che sostituisca quella cresciuta negli anni della guerra fredda, oramai logora e compromessa dopo decenni di governi senza possibilità di alternanza – prosegue Ciconte -. Dopo Capaci la sinistra non era un soggetto unico e forte, Andreotti era stato indebolito dai rapporti con Salvo Lima, in un batter d’occhio elessero Scalfaro presidente della Repubblica. Poi ci fu il Pio Albergo Trivulzio a Milano, con il giro di mazzette e gli imprenditori che non volevano più pagarle, dando inizio a Mani Pulite: quando Craxi, rispondendo a un giornalista, disse che Mario Chiesa era “un mariuolo”, questo ‘mariuolo’ chiamò Di Pietro e raccontò tutto.

Mauro Trilli, presidente della Fondazione Varrone

Nel ‘94 vinse Bossi con la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania “attenzione che l’autonomia differenziata è esattamente questo progetto ancora oggi” sottolinea Ciconte. Il progetto di uccidere Falcone a Roma fallì, perché gli uomini inviati da Riina, fra cui Matteo Messina Denaro, sbagliarono ristorante. Riina decise allora per una risposta eclatante “ma fu da solo a prendere questa decisione? E perché Pietro Giammanco, andreottiano, procuratore capo al tribunale di Palermo, colui che aveva trasferito Falcone a Roma, dopo Capaci non volle ascoltare Borsellino? Perché in piena estate, con il caldo, pochi minuti dopo la strage di Via D’Amelio arrivarono in giacca e cravatta uomini dei servizi segreti per prendere i documenti di Borsellino? E chi distrusse il pool antimafia? A Micromega Paolo Borsellino subito dopo la strage di Capaci dichiarò: Quando Giovanni Falcone, solo per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il CSM con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse. Qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo: gli preferì Antonino Meli”.

Maria Rita Pitoni, consigliera della Fondazione Varrone

Nel 1996 il giudice Antonio Caponnetto rispose a Gianni Minà nel programma Storie di Rai2: “Ognuno ha fatto la sua parte. Meli ha contribuito ad anticipare la chiusura dell’Ufficio istruzione, non coordinando più le indagini, esautorando Falcone, emarginandolo, smembrando i processi di mafia e vanificando tutto il lavoro fatto. Giammanco ha fatto la sua parte presso la procura della Repubblica e ha emarginato anche lui Giovanni, con anticamere imposte, umiliazioni varie che lo portarono a Roma ad accettare un incarico ministeriale per fuggire da questa tagliola palermitana”.

Nel ’93 la cattura di Riina, il 41bis, i movimenti civili e la nascita di Libera e della rivista ‘Narcomafie’, nel 1996 l’approvazione della legge sulla confisca dei beni della mafia per utilizzo sociale, che già Pio La Torre e Dalla Chiesa nel 1982 avevano proposto. La prima cooperativa fu intitolata a Placido Rizzotto ucciso nel ’47 per liberare le terre: “La legge proponeva anche di confiscare i beni ai corrotti, ma la Lega lo tolse (alla Camera c’era Irene Pivetti)”.

Gabriella Stramaccioni (a sinistra, nella foto)

La tavola rotonda introduce il dibattito sulla repressione e la situazione carceraria. “Troppi ancora pensano di buttare la chiave e di lasciare lì persone che hanno sbagliato, ma invecee il carcere dovrebbe restituirle alla comunità. Io vedo le cose dal di dentro, vedo le persone, non vedo il reato, chiamo tutti solo per nome, vedo anche i problemi degli agenti carcerari, vedo i ragazzi come parte di un cammino insieme. Il sistema va riformato, le carceri scoppiano (a Rebibbia 1515 carcerati su una capacità di 1200 posti), il 41bis non può essere applicato a tutti, non si possono isolare le persone, qualcuno può essere recuperato, invece si fa di tutta l’erba un fascio” spiega padre Lucio Boldrin. Che aggiunge: “Un ragazzo che vuole parlare con me deve fare richiesta al magistrato che risponde dopo 4 mesi, a chi ha problemi psichiatrici fanno punture. E poi, quando si esce dal carcere, nessuno ti aiuta, anche se sei malato e anziano. I suicidi aumentano: sono stati 89 l‘anno scorso, oggi siamo già a 22”.

Conclude Gabriella Stramaccioni: “Il carcere non può essere una prigione che dura tutta la vita, ci sono 748 persone al 41bis, che doveva essere un procedimento emergenziale, oggi c’è la censura totale dal mondo, ci sono 10 donne analfabete, ci sono stranieri che non parlano la lingua, solo il 10% ha un diploma. La Magistratura dovrebbe approfondire esaminando i singoli casi e non si possono scarcerare persone senza una preparazione per tornare alla vita civile”. Un libro per chi c’era e vuole approfondire e per chi non c’era e vuole conoscere la nostra complicata storia. “Conoscere la storia per non fare danni” ribadisce Stramaccioni.

Francesca Sammarco

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