PALERMO – La cintura “verde” l’aveva sognata Wangari Maathai, biologa, parlamentare del Kenya e fondatrice del Green Belt Movement: movimento ecologista con l’obiettivo di combattere la desertificazione del proprio Paese e di altri stati africani. Infatti, assieme a migliaia di donne che aveva incoraggiato a essere protagoniste nella società keniota, Wangari ha piantato circa 40 milioni di alberi. Per questo e per “il suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace”, nel 2004 è stata insignita del Premio Nobel per la Pace, prima donna africana a riceverlo. Wangari Maathai è morta nel 2011, ma il suo sogno ecologista era già stato rilanciato nel 2007 dall’Unione Africana, ed è stato poi sostenuto in tutti i congressi ambientalisti mondiali. Nello specifico, la cintura verde è stata progettata come un “muro” lungo oltre 8.000 km. – costituito da alberi, ecosistemi rigenerati, coltivazioni locali – che dovrà percorrere il continente africano dall’Atlantico al mar Rosso, con lo scopo di fermare la desertificazione subsahariana, acuita e accelerata dalla crisi climatica.
Oggi, dopo quattordici anni dalla sua progettazione, sono stati realizzati appena 4 milioni di quel muro verde che dovrebbe essere costituito da circa ben 100 milioni di ettari di territorio bonificato. Al recente vertice internazionale “One Planet Summit” – tenuto a Parigi nel gennaio scorso con l’obiettivo di rilanciare le iniziative e la collaborazione ecologica tra i vari stati – il presidente Macron ha confermato l’impegno francese nell’importante iniziativa ecologica, promettendo cospicui investimenti. La BEI, Banca Europea per gli Investimenti, a sua volta ha dichiarato di voler investire 1.000 milioni di euro nei prossimi dieci anni. A sostenere il progetto anche il principe Carlo d’Inghilterra, da sempre in prima linea nell’appoggio allo sviluppo sostenibile; inoltre vari investitori mondiali si sono detti pronti a mettere a disposizione miliardi di dollari per creare milioni di posti di lavoro “verde” in tutto il pianeta, per la salvezza non solo dell’Africa, ma anche dell’Amazzonia e della barriera corallina.
Nell’attesa che questo salutare progetto venga realizzato con la cooperazione di tutti, ecco le riflessioni che Wangari Maathai ci ha lasciato in un suo libro: “Capii che il lavoro del Green Belt Movement era guidato da alcuni valori intangibili. Essi erano: amore per l’ambiente, gratitudine e rispetto per le risorse della Terra, capacità di darsi potere e di migliorare sé stessi, spirito di servizio e volontariato. Naturalmente, so bene che tali valori non sono appannaggio del Green Belt Movement. Essi sono universali. Non possono essere toccati o visti. Non possiamo dar loro un valore monetario: in effetti, sono impagabili. Questi valori non sono contenuti in specifiche tradizioni religiose, né uno deve far professione di fede per essere guidato da essi. Sembrano piuttosto essere parte della nostra natura umana, ed io sono convinta che siamo persone migliori perché li abbiamo, e che l’umanità è migliore avendoli piuttosto che non avendoli. Dove questi valori sono ignorati, li rimpiazzano vizi come l’egoismo, la corruzione, l’avidità e lo sfruttamento. Per quel che posso dire attraverso le mie esperienze e le mie osservazioni, credo che la distruzione fisica della Terra si estenda anche a noi. Se viviamo in un ambiente ferito, dove l’acqua è inquinata, il cibo è contaminato da metalli pesanti e residui plastici, e il suolo è praticamente immondizia, ciò ci affligge, influisce sulla nostra salute e crea ferite a livello fisico, psicologico ed esistenziale. Degradando l’ambiente, degradiamo sempre noi stessi. Nel processo in cui aiutiamo la Terra a guarire, aiutiamo noi stessi”.
Maria D’Asaro
Nell’immagine di copertina, la biologa Wangari Maathai, premio Nobel per la Pace
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