PALERMO – Si chiude oggi a Palermo la retrospettiva dedicata a Robert Capa, uno dei più grandi fotografi del XX secolo, i cui reportage hanno “raccontato” in modo esemplare la guerra civile spagnola, il conflitto tra Cina e Giappone nel 1938, la seconda guerra mondiale, la guerra arabo-israeliana del 1948, il conflitto in Indocina del 1954. La mostra, esposta dal 25 aprile al Reale Albergo delle Povere, ha avuto il merito di offrire ai visitatori oltre cento foto in bianco e nero che testimoniano tutta la parabola professionale ed esistenziale dell’autore.
Endre Ernő Friedmann – questo il vero nome del fotografo – nato in Ungheria nel 1913, fu costretto prima a lasciare il suo paese natale per motivi politici e successivamente la Germania nazista per le sue origini ebraiche; durante la permanenza in Spagna, negli anni 1936-39, scelse poi lo pseudonimo Robert Capa perché tale nome era più facile da pronunziare. Nella mostra si conferma l’autenticità della foto con cui Capa divenne famoso in tutto il mondo: quella scattata a Cordova nel 1936, durante la guerra civile spagnola, foto che ritrae un soldato dell’esercito repubblicano nell’attimo in cui appare colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti.
Capa infatti era sempre in prima linea durante le guerre narrate con i suoi scatti: fu l’unico fotografo ad assistere il 6 giugno del 1944 al sanguinoso sbarco del contingente americano ad Omaha Beach, in Normandia. Sebbene purtroppo la maggior parte delle foto dello sbarco andò perduta per un errore di Larry Burrows, il tecnico di laboratorio, gli unici undici fotogrammi salvatisi, pur se danneggiati, sono stati capaci di fermare sulla pellicola la portata storica dell’azione militare. “Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino” scriveva il fotografo che, a bordo di un piccolo aereo con pochi soldati americani, nel luglio del 1943, per documentare lo sbarco alleato non esitò a lanciarsi col paracadute nel centro della Sicilia. Proprio qui, Capa realizzò uno dei suoi scatti più celebri: quello del 6 agosto 1943 che ritrae un soldato americano accovacciato e un pastore siciliano che gli indica con un bastone la direzione per Sperlinga, dopo la battaglia di Troina.
Nonostante il suo disprezzo per il pericolo e la sua lunga consuetudine con gli scenari bellici, sugli scatti nel 1943 in Sicilia il fotografo scrisse poi in un diario: “Erano immagini molto semplici. Mostravano quanto noiosa e poco spettacolare fosse in verità la guerra. Il piccolo, bel paese di montagna, era completamente in rovina. I tedeschi che lo avevano difeso si erano ritirati durante la notte abbandonando alle loro spalle molti civili italiani, feriti o morti. Ci eravamo distesi per terra nella piccola piazza del paese, di fronte alla chiesa, stanchi e disgustati. Pensavo che non avesse alcun senso questo combattere, morire e fare foto”.
Ma Capa, come testimonia egregiamente una sezione della mostra, era capace di utilizzare il suo talento dietro l’obiettivo anche per i ritratti fotografici, sia che i soggetti fossero amici famosi sia che si trattasse di umili sconosciuti, come evidenziano le foto di Hemingway, Picasso, Ingrid Bergman e i suoi scatti di gente comune a Tel Aviv, in Israele, nel 1948.
Robert Capa muore a 41 anni ad Hanoi, per l’esplosione di una mina durante la prima guerra d’Indocina, nel 1954. Sua questa laconica e amara considerazione sulla guerra: “Un inferno che gli uomini si sono fabbricati da soli”.
Maria D’Asaro
Nella foto di copertina, uno dei più celebri scatti di Robert Capa
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