PALERMO – Nel 1990 in Germania il muro di Berlino era caduto solo da un anno, a Palermo Libero Grassi denunciava in solitudine gli estortori e i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino combattevano eroicamente Cosa nostra. Proprio in quell’anno, il 7 dicembre, nel salone parrocchiale della chiesa “Cristo Re” di Capo d’Orlando, una ridente cittadina sul mare in provincia di Messina, otto commercianti e imprenditori decidevano di non subire più violenze e ricatti da parte delle cosche mafiose dei Nebrodi e fondavano l’A.C.I.O., Associazione di Commercianti e Imprenditori di Capo d’Orlando, prima associazione antiracket italiana. La notizia si impose allora nelle prime pagine dei giornali e portò sotto i riflettori il suo presidente, Tano Grasso, che non smetteva di ripetere che il taglieggiamento mafioso poteva essere sconfitto solo da una coraggiosa azione collettiva.
Il primo atto dell’associazione fu la costituzione di parte civile in un processo agli estortori mafiosi, processo che si tenne nel vicino tribunale di Patti. Arrivarono poi a 140 i commercianti e gli imprenditori che, dopo aver denunciato le pressioni subite dalla mafia dei Nebrodi, raccontarono in aula la loro esperienza. Fu un importante passo collettivo per combattere la mafia, scardinandone il controllo del territorio tramite le richieste del pizzo e minandone il consenso sociale.
Qualche anno dopo sarebbero sorte altre importanti associazioni per contrastare il dominio mafioso sul territorio e sollecitare la società civile nella lotta alla criminalità organizzata: ricordiamo Libera, presieduta da don Luigi Ciotti, fondata nel 1995 su ispirazione di Luciano Violante e Saveria Antiochia, e Addiopizzo, che nacque a Palermo la notte tra il 28 e il 29 giugno 2004, quando un gruppo di giovani amici attaccarono un po’ dovunque in città centinaia di piccoli adesivi con la scritta: “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”.
Il movimento Addiopizzo fece scalpore perché fu portavoce di una vera e propria rivoluzione culturale contro la mafia. Ecco cosa scrivevano i coraggiosi fondatori del movimento: “Il nostro obiettivo è erodere il consenso di cui gode la mafia nell’estesa “zona grigia” della nostra società. Per l’esattezza, il nostro obiettivo critico è il beneplacito della popolazione di cui si avvantaggia il connivente della Cosa nostra degli assassini. Le nostre azioni vogliono porre un argine al silenzio, sono atti di ribellione alla sottocultura mafiosa e una forma di dissociazione attiva dall’indegno quietismo che si è consolidato soprattutto attorno al problema delle estorsioni mafiose”.
Oggi, a trent’anni di distanza, sono una sessantina le associazioni antiracket in tutto il Meridione. La costituzione dell’ACIO è stata commemorata a dicembre con un incontro in streaming a cui hanno partecipato, oltre ad alcuni fondatori dell’associazione, il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, il procuratore di Messina Maurizio de Lucia, il commissario nazionale antiracket e antiusura Giovanna Castronovo, l’attuale presidente della Federazione Italiana Antiracket Luigi Ferrucci.
“Le associazioni sono nate e continuano a sorgere grazie al passaparola – ha detto Tano Grasso che ha esportato il modello Capo d’Orlando in tutta la Sicilia e poi in Campania, in Puglia e nel Lazio – ma il volontariato ha dei limiti e a un certo punto si ferma. Manca il salto di qualità che si potrebbe fare se si intestassero la battaglia contro il racket le grandi associazioni di categoria. Se non lo faranno, questa lotta resterà confinata a una battaglia di avanguardia”.
Anche il procuratore di Messina De Lucia ha sottolineato la necessità che l’associazionismo si sviluppi nel Nord Italia, dove le mafie sono pronte ad approfittare della crisi economica. Pericolo incombente ribadito dai membri fondatori dell’ACIO, che dichiarano: “Oggi serve una marcia in più. Con questa pandemia il rischio concreto è che la mafia si impossessi delle aziende di persone perbene e pulite che si trovano in difficoltà. A queste persone diciamo: Evitate di stare soli, altrimenti siete esposti al rischio di perdere l’azienda”.
Tra i soci fondatori dell’ACIO c’è Sarino Damiano, vissuto per undici anni sotto scorta. In un’intervista, a chi gli chiede se nel 1990 avesse paura, ammette di essere stato molto preoccupato, ma di aver superato la paura perché ci teneva a lasciare ai figli un esempio di legalità.
Attualissime allora le parole dei fondatori di Addiopizzo: “Certo è che, se la società civile e la cittadinanza tutta assumessero un comportamento attivo di lotta e contrasto alla signoria di Cosa nostra, l’imprenditore reticente o compiacente avrebbe meno scusanti. Noi riteniamo quanto è nato dalla nostra iniziativa una delle espressioni di quella intelligenza e passione collettiva che, sebbene a fatica, si risveglia e si riorganizza; ci sentiamo parte di una storia popolare che lentamente si sta scrivendo dal basso, siamo parte di quella moltitudine di siciliani senza nome che, in un precario equilibrio tra entusiasmo e disincanto, in cuor loro sognano comunque una terra endemicamente ribelle ad ogni forma di sopruso: giusta, laboriosa e creativa.”
Maria D’Asaro
Nell’immagine di copertina, il logo dell’Acio, l’Associazione di Commercianti e Imprenditori di Capo d’Orlando
Lascia un commento