PALERMO – Se si chiedesse di associare l’anno 1982 a un delitto di mafia “eccellente” avvenuto a Palermo, sarebbe sicuramente citato l’assassinio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, trucidato proprio in quell’anno, la sera del 3 settembre, con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo. In pochi ricorderebbero che qualche settimana prima, l’11 agosto 1982, fu assassinato con cinque colpi di pistola, tra i viali del Policlinico di Palermo, anche un noto medico palermitano: il dottor Paolo Giaccone.
Chi era Giaccone? Era un medico e uno stimato docente universitario: ordinario di Medicina legale alla Facoltà di Medicina dell’Università di Palermo, insegnava anche Antropologia criminale alla Facoltà di Giurisprudenza. Il professore divideva il suo impegno tra l’Istituto di medicina legale del Policlinico, che dirigeva, e le consulenze per il Palazzo di Giustizia. Nella vita privata era felicemente sposato, con quattro figli – Camilla, Antonino, Amalia e Paola – e aveva tanti interessi: amava dipingere e praticava la scherma; si interessava di filatelia e di ornitologia. Era inoltre un appassionato di musica, che studiò per cinque anni al Conservatorio Bellini.
Perché i mafiosi lo uccisero? Bisogna andare indietro di qualche mese, al dicembre del 1981, quando tra le vie di Bagheria – un grosso centro a pochi chilometri da Palermo – c’era stata una sparatoria con quattro morti. Il professore Giaccone aveva ricevuto l’incarico di esaminare un’impronta digitale lasciata da uno dei killer. Secondo la sua perizia, l’impronta apparteneva ad un esponente della cosca mafiosa di Corso dei Mille: questa era la prova che poteva incastrare gli assassini. Il medico ricevette delle pressioni perché “aggiustasse” le conclusioni della perizia dattiloscopica. Giaccone non cedette a pressioni e a minacce – che pare gli furono rivolte anche da un avvocato – e il killer fu condannato.
La mafia si vendicò uccidendo il medico in una calda mattinata d’agosto. In seguito il pentito Vincenzo Sinagra rivelò i dettagli del delitto, addossandone la responsabilità a Salvatore Rotolo, che venne condannato all’ergastolo nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra.
Ecco cosa aggiunge a questa tristissima storia Augusto Cavadi, nel suo testo “101 Storie di mafia che non ti hanno mai raccontato”: “Chi ha ucciso il dottor Giaccone? La risposta giudiziaria è corretta, preziosa, ineliminabile. Tuttavia, per quanto esatta, sarebbe una risposta incompleta. Quando l’esponente di una categoria professionale viene ucciso, sarebbe da ciechi non vedere la grave responsabilità oggettiva di tutti quegli altri membri della stessa categoria che con il loro comportamento abituale hanno reso possibile quella uccisione. Infatti: perché il mafioso si aspetta la connivenza del medico (o dell’avvocato, del direttore di banca, del poliziotto penitenziario…) e, se non la ottiene, non può permettersi il lusso di tollerare la disubbidienza? Perché abitualmente la borghesia professionale ha accettato – per interesse o per paura – le richieste illegali manifestate da personaggi di ‘rispetto’. Ecco perché ad assassinare Giaccone non sono stati soltanto uno o due killer, ma anche quei medici che si sono prestati ad assecondare le richieste dei mafiosi. Proprio come tutti i commercianti che pagano il pizzo precostituiscono le condizioni oggettive dell’esecuzione esemplare di un Libero Grassi…”.
Sono passati trentotto anni dall’assassinio del professore Giaccone e circa trenta da quello dell’imprenditore Libero Grassi. Si spera che a Palermo oggi sia cresciuta la consapevolezza etica e civile, tanto da rendere meno praticabili pressioni e ricatti della mafia a professionisti e commercianti.
Ai palermitani che si trovano a varcare il Policlinico universitario, ormai intitolato al dottore Paolo Giaccone, rimane comunque nel cuore un sentimento di grande mestizia, unito a una profonda, perenne riconoscenza morale.
Maria D’Asaro
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