PALERMO – Cosa è un classico? Un testo che, con stile originale, esprime qualcosa che tocca il cuore e la mente dei lettori: parole “evergreen”, sempre valide nonostante il tempo trascorso dal passato in cui sono state scritte rispetto all’oggi in cui vengono fruite. Classiche sono tutte le opere di Giacomo Leopardi: non solo le splendide poesie, ma anche gli scritti in prosa.
In questi giorni di passaggio tra l’anno vecchio e il nuovo, è il caso di rispolverare una delle sue Operette morali, “Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere”. Il dialogo, scritto nel 1832, è ambientato per strada, in una città anonima in cui un passante (passeggere) si sofferma a parlare con un venditore di calendari. A quest’ultimo, che gli propone appunto l’acquisto di un almanacco per il nuovo anno, il passante chiede se l’anno nuovo sarà felice: “Certamente!”, risponde il venditore. Inizia così fra i due uno scambio di battute durante il quale il commerciante, pur sostenendo che la vita è una cosa bella, incalzato dalla lucida e stringente dialettica del passante, è costretto ad ammettere che non ci sono stati anni particolarmente felici nella sua vita trascorsa, anni a cui vorrebbe somigliasse l’anno venturo. Il dialogo si conclude quindi con la reciproca ammissione che la felicità consiste nell’attesa di qualcosa che non si conosce, nella speranza di un futuro diverso, migliore del passato e del presente: “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura”. Così il venditore riprende il suo cammino e il testo termina con la stessa battuta con cui è iniziato (“Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi”), a sottolineare così il ripetersi delle vicende umane e l’impossibilità del cambiamento.
Al pessimismo razionale di Leopardi, fanno eco gli ironici versi canori di “Caro amico ti scrivo” del compianto Lucio Dalla: “Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’, e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò./Da quando sei partito c’è una grossa novità: l’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va/Si esce poco la sera, compreso quando è festa; e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra. (…) Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando./Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno (…) Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno, anche i muti potranno parlare, mentre i sordi già lo fanno/E si farà l’amore ognuno come gli va/anche i preti potranno sposarsi, ma soltanto a una certa età…”. E Dalla, cantautore italiano “evergreen”, conclude così la canzone: “Vedi, caro amico, cosa si deve inventare per poter riderci sopra, per continuare a sperare…”.
Perché, a ben pensarci, non ci si può fare troppe illusioni sull’anno che verrà: a chi avrà la grazia di viverlo, spetta comunque la responsabilità di connotarlo con la sagacia e la saggezza delle posizioni sociali e politiche, con la lungimiranza e il buon senso delle scelte ambientali ed ecologiste e, perché no, con gesti di generosità e di bontà. Buon 2019 allora. E, per tutti, l’auspicio del Mahatma Gandhi: “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
Maria D’Asaro
Nella foto di copertina, un ritratto di Giacomo Leopardi
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