PALERMO – Negli Stati Uniti d’America, che in questi giorni hanno eletto il loro 46° Presidente, c’è una lunga storia di lotte per il riconoscimento dei diritti civili e politici di tutti i cittadini. Al fianco di Biden sarà la vicepresidente Kamala Harris: prima donna, afro-americana per giunta, a ricoprire tale ruolo. Non a caso, in onore delle suffragette che si sono battute per il diritto di voto, la Harris ha tenuto il suo primo discorso con un tailleur bianco.
Nel solco delle battaglie per l’uguaglianza, spicca la straordinaria figura di Frederick Douglass, che visse nel XIX secolo, quando negli Stati Uniti del sud era legale la schiavitù. Egli nacque infatti come schiavo nel Maryland, forse nel 1818. Scrisse nelle sue memorie: “Non ho un’idea precisa della mia età perché non ho mai visto un documento ufficiale che la registrasse. L’enorme maggioranza degli schiavi sanno, della loro età, quanto ne sanno i cavalli… e su questo punto tutti i padroni di mia conoscenza ci tengono a mantenerli nel buio più completo. Fu questa, per me, una causa di disagio sin dall’infanzia. I ragazzi bianchi sapevano dire quanti anni avevano: perché mi era negato lo stesso privilegio?”. Strappato subito alle cure della madre, Harriet Bailey, e poi anche a quelle della nonna, Betty Bailey, fu venduto a sette anni a nuovi padroni. La sua fortuna fu l’essere capitato a servizio da un certo Hugh Auld, la cui moglie Sophia gli insegnò l’alfabeto, infrangendo la legge che vietava di insegnare a leggere agli schiavi. Il ragazzo imparò presto e da allora lesse con avidità e interesse qualsiasi testo fosse alla sua portata: quotidiani, manifesti, libri. Dichiarò poi che furono proprio i libri a cambiare il suo modo di pensare, inducendolo a rifiutare la schiavitù, che considerò una ferita per l’umanità.
Quando fu venduto a un nuovo padrone, Douglass insegnò agli altri schiavi a leggere il Nuovo Testamento. Douglass tentò varie volte la fuga, riuscendo a farcela davvero il 3 settembre del 1838 quando, vestito con un’uniforme da marinaio e munito di documenti di identità falsi avuti da un marinaio nero libero, raggiunse New York a bordo di un treno. Ma divenne legalmente libero solo dopo i due anni di permanenza in Gran Bretagna e Irlanda, dal 1845 al 1847, quando gli amici inglesi “comprarono” la sua libertà pagando il suo ultimo proprietario.
Da libero, Frederick Douglass iniziò la sua opera di scrittore, editore, oratore, abolizionista e uomo politico: partecipò al progetto delle cento riunioni dell’American Anti-Slavery Society, un programma di incontri pubblici contro la schiavitù in tutto l’Est e il Midwest degli Stati Uniti; prese parte alla “Convention di Seneca Falls”, che sancì la nascita del movimento femminista statunitense; fu uno strenuo sostenitore del diritto di voto alle donne. Convinto poi dell’estrema importanza dell’istruzione per migliorare la vita degli afroamericani, fu anche uno dei primi sostenitori della necessità di abolire la segregazione razziale nelle scuole e dichiarò che l’inclusione nel sistema educativo era per gli afroamericani un’esigenza più urgente e pressante persino della rivendicazione politica del diritto di voto.
Prima della guerra civile (1861-1865) Douglass, stimato opinionista come direttore del giornale “North Star”, era già diventato uno dei neri più famosi del paese, assai noto per le sue prese di posizione sulla condizione dei neri e i diritti delle donne. In varie occasioni, era solito ripetere: “Mi assocerei con chiunque per fare la cosa giusta e con nessuno per fare quella sbagliata”. Amico dell’abolizionista radicale John Brown, disapprovò però il suo progetto di un’insurrezione armata degli schiavi negli Stati del sud. Allo scoppio della guerra civile, Douglass e gli abolizionisti sostennero che, poiché il conflitto era scoppiato per porre fine alla schiavitù, agli ex schiavi in fuga dagli stati del Sud doveva essere permesso di arruolarsi e combattere per la propria libertà.
Ciò fu possibile dopo il 31 dicembre 1862, quando il presidente Lincoln emanò il Proclama di Emancipazione, che dichiarava liberi gli schiavi dell’Unione. Così Douglass elaborò un programma per far partecipare alla guerra gli ex schiavi: lui stesso servì l’Unione come reclutatore per il 54º Reggimento del Massachusetts. Alla fine del conflitto, l’emancipazione e la fine della schiavitù furono ratificate con l’approvazione del 13° emendamento, che sanciva anche la cittadinanza agli schiavi liberati, mentre il 14° e il 15° emendamento garantivano a tutti i diritti civili, la stessa tutela davanti alla legge e impedivano limitazioni razziali per il diritto di voto. Dopo il 1865, Frederick Douglass ricoprì diversi incarichi: fu presidente della Freedman’s Savings Bank, l’organizzazione governativa creata per sostenere lo sviluppo delle comunità afroamericane da poco emancipate; sceriffo del Distretto di Columbia; Minister Resident e console generale presso la Repubblica di Haiti (1889–1891).
Il suo scritto più famoso rimane la sua prima autobiografia del 1845: “A Narrative of the Life of Frederick Douglass, an American Slave”, scritta così bene che alcuni attaccarono la paternità dell’opera, mettendo in dubbio che un nero sapesse scrivere un testo di tale qualità letteraria. Il libro diventò per quei tempi un campione di vendite: nei primi tre anni dalla pubblicazione fu ristampato nove volte, fu tradotto in francese e olandese e pubblicato anche in Europa.
Alle elezioni presidenziali del 1872 la sua fama indusse gli esponenti del Partito per l’eguaglianza dei diritti a candidarlo, a sua insaputa, per la vicepresidenza degli Stati Uniti.
Frederick Douglass morì il 20 febbraio 1892 a Washington dove, per la sua forza morale, era ormai soprannominato il Leone di Anacostia (dal nome di un quartiere storico della capitale). Ha lasciato in eredità la sua incrollabile idea di eguaglianza e la sua testimonianza di vita, raro esempio di capacità di lotta, di integrità morale e di resilienza. Virtù di cui, oggi come ieri, c’è un grande bisogno.
Maria D’Asaro
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