PALERMO – “Giugno, che sei maturità dell’anno, di te ringrazio Dio: in un tuo giorno, sotto al sole caldo, ci sono nato io, ci sono nato io…”. Nella “Canzone dei dodici mesi”, Francesco Guccini comunica la sua data di nascita: infatti, nato a Modena il 14 giugno del 1940, ha festeggiato qualche giorno fa 80 anni. Francesco, prima di diventare uno dei più apprezzati e poliedrici cantautori italiani, è stato docente di Italiano (anche se la laurea in Scienze della Formazione l’ha ottenuta solo honoris causa nel 2002 dall’Università di Bologna); cronista per due anni alla “Gazzetta di Modena”; compositore di canzoni per altri cantanti; persino autore di pubblicità per Carosello. Adesso, dopo l’addio a concerti e a nuove canzoni, si è dedicato a tempo pieno alla scrittura, rivelandosi un cultore raffinato della lingua italiana. Ha collaborato a vari scritti di saggistica e narrativa e ha pubblicato tre romanzi: “Cròniche epafàniche” – con riferimenti autobiografici a Pavana, paese di infanzia sull’Appennino tosco-emiliano – “Vacca d’un cane” e “Cittanova blues”. Inoltre, è stato anche autore e sceneggiatore di fumetti, oltre che un appassionato del genere.
Non è facile riassumere la poetica e lo stile musicale di Francesco Guccini, le cui canzoni hanno fatto da colonna sonora ad almeno tre generazioni. C’è il cantautore politicamente impegnato, che inneggia alla giustizia sociale, all’uguaglianza e alla libertà, che ci ha donato le parole indimenticabili de “La locomotiva”: “Ma un’altra grande forza spiegava allora le sue ali, parole che dicevano ‘gli uomini son tutti uguali’ e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via la bomba proletaria e illuminava l’aria la fiaccola dell’anarchia”; il ricordo commosso de “La Primavera di Praga”: “Quando quel fumo si sparse lontano, Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava, all’orizzonte del cielo di Praga… Dimmi chi sono quegli uomini stanchi di chinar la testa e di tirare avanti, dimmi chi era che il corpo portava, la città intera che lo accompagnava, la città intera che muta lanciava una speranza nel cielo di Praga”; l’omaggio a Che Guevara: “Che Guevara era morto e ognuno lo capiva che un eroe si perdeva, che qualcosa finiva…
C’è poi il Guccini intimista, che raggiunge vette di autentica poesia con i testi de “Il pensionato”, di “Vorrei”, di “Autogrill”; il Guccini dagli accenti esistenziali in “Incontro”: “E pensavo dondolato dal vagone, cara amica il tempo prende, il tempo dà, noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa, restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento, le luci nel buio di case intraviste da un treno. Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno”. E quello delle grandi domande metafisiche in “Shomèr ma mi llailah” (titolo ebraico che significa “Sentinella, quanto resta della notte?”) e in “Stelle”: “Ma guarda quante stelle questa sera, fino alla linea curva d’orizzonte ellissi cieca e sorda del mistero … E sembrano invitarci da lontano, per svelarci il mistero delle cose o spiegarci che sempre camminiamo fra morte e rose. O confonderci tutto e ricordarci che siamo poco o che non siamo niente e che è solo un pulsare illimitato, ma indifferente …C’erano ancora prima del respiro, ci saranno alla nostra dipartita, forse fanno ballare appesa a un filo la nostra vita. E in tutto quel chiarore sterminato, dove ogni lontananza si disperde, guardando quel silenzio smisurato l’uomo si perde…”.
Ci sono ancora i testi suggestivi degli album “L’isola non trovata” e “Gulliver”, dove Francesco canta il viaggio come utopia e ricerca infinita di nuove frontiere; i ritratti indimenticabili di Don Chisciotte, Cirano de Bergerac, Cristoforo Colombo, Ulisse/Odisseo nelle indimenticabili canzoni omonime; le canzoni “Noi non ci saremo” e “Il vecchio e il bambino”, dai toni apocalittici e struggenti. Non è mancata a chi scrive l’emozione di ascoltarlo più volte a Palermo dal vivo: in affollati concerti che iniziavano sempre con le note toccanti di “Canzone per un’amica”. E infine chi scrive ha cantato in una chiesa “Dio è morto” – canzone inizialmente censurata dalla RAI e poi elogiata addirittura da papa Paolo VI – e ha fatto ascoltare ai suoi alunni “Auschwitz-Canzone del bambino nel vento”: “Ad Auschwitz tante persone, e un solo grande silenzio: è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento… Io chiedo come può l’uomo uccidere un suo fratello, eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento… Ancora tuona il cannone, ancora non è contenta di sangue la bestia umana e ancora ci porta il vento… Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare e il vento si poserà e il vento si poserà”.
Buon compleanno, caro Francesco. E grazie di cuore: senza le tue canzoni la nostra vita sarebbe stata più insipida e grigia.
Maria D’Asaro
Francesco Guccini è nutriente. Nutre l’anima delle persone. Ascoltarlo ci porta a fare un viaggio dentro di noi, ad incontrare immegini profondamente vere e naturali, ci fa sentire il calore e il sentimento di essere umani, ci fa capire cosa significa essere umani..