PALERMO – Che cosa hanno in comune Penelope, la signora Maigret, la moglie del tenente Colombo, Livia, la fidanzata del commissario Montalbano, la segretaria di James Bond, la moglie del principe di Salina, Santippe e Gemma Donati? Sono donne – frutto di una felice ispirazione letteraria le prime, realmente esistite le ultime due – vissute all’ombra dei loro celeberrimi mariti/compagni, nel mondo della creazione artistica o nella vita reale.
Donne in penombra (Editrice Kimerik, Patti, €13) è appunto il titolo del delizioso libretto di Mariceta Gandolfo (nella foto a destra) che, compiendo quasi un’operazione di matrice gestaltica di cambio di prospettiva tra la figura e lo sfondo, restituisce il diritto di parola a donne che hanno fatto solo da sfondo ai loro uomini. A eccezione degli ultimi settant’anni, durante i quali ci sono stati per le donne cambiamenti epocali – peraltro non diffusi in tutto il pianeta, e forse neppure irreversibili – da che mondo è mondo infatti gli uomini sono “figura”, cioè sono in primo piano nella società, nella politica, nell’economia, in tutti i posti dove si azionano le leve del comando e del potere. Mentre le donne sono state da sempre relegate sullo “sfondo”, ai margini della società. L’autrice inverte invece la prospettiva, e, nel suo testo, le figure femminili, vive e palpitanti, sono protagoniste assolute di una personale “resurrezione”.
La professoressa Gandolfo dà prova poi di una notevole e approfondita conoscenza del clima storico in cui sono vissute le “sue” signore e le presenta con uno stile assai gradevole e originale: adatta infatti il registro narrativo e stilistico al contesto sociale di provenienza delle varie donne. Ad esempio, per presentare la moglie del tenente Colombo, dà vita a un set cinematografico e si assiste a un confronto serrato tra regista e sceneggiatore; la vicenda della signora Maigret, stanca di aspettare “davanti a una pietanza che le aveva richiesto ore di fatica e che si raffreddava e induriva nel piatto”, è inserita in un intrigante raccontino dal sapore poliziesco; per presentare Santippe, moglie di Socrate, viene imbastito un dialogo maieutico, serio ed esilarante insieme; Gemma Donati, misconosciuta moglie di Dante Alighieri, vissuta all’ombra della celestiale Beatrice, parla con termini mutuati dal dialetto fiorentino della fine del 1200. Gemma, dopo aver atteso inutilmente in vita che il sommo poeta le dedicasse almeno un sonetto, si trova adesso in una sorta di aldilà e rivela “che l’è una cosa tutta diversa da come l’aveva descritto mio marito, cosicché la prima volta che l’ho incontrato mi sono tolta la bella soddisfazione di gridargli: «Ah Dante, Ah grullo, ma che tu ti eri immaginato nella tua mente, ché non l’hai imbroccato in niente codesto posto!» e lui si è talmente offeso, che mi ha evitato per trecento anni”.
Ma la forza del libro non risiede solo nell’eccellente capacità dell’autrice di farne un delizioso divertissement di riscossa femminile: i ritratti a tutto tondo della segretaria di James Bond, di Santippe, della moglie del principe di Salina, alias il Gattopardo, persino di una delle protagoniste più note delle fiabe, la bella addormentata nel bosco, sollecitano e muovono anche le corde della riflessione sulle attese, sulla secolare emarginazione, sulle ingiustizie da sempre subite dalle donne.
Per fortuna, le “donne in penombra” sono capaci di ribellione e cambiamento creativo: ecco Penelope che, dapprima chiusa nella sofferenza dell’attesa di Ulisse, poi delusa dal suo rientro, matura la sua singolare reazione/vendetta dopo l’ennesima, e definitiva, partenza dell’ingombrante marito; ecco l’imprevista reazione di Livia, condannata al ruolo di eterna fidanzata del commissario Montalbano; ecco infine, nell’ultimo racconto, l’invito accorato a tutte le belle addormentate del mondo “a tenere gli occhi bene aperti e non lasciarsi condizionare da tutti i falsi miti dell’amore eterno e del matrimonio perfetto, come unica condizione di benessere e di felicità”: perché nessuna donna sacrifichi all’altare di un qualsiasi principe azzurro la sua dignità, la sua intelligenza, la sua vita.
Maria D’Asaro
Lascia un commento