PALERMO – Tra i tanti libretti del filosofo consulente palermitano Augusto Cavadi, non poteva mancarne uno su una questione cruciale, ineludibile per chi, come l’autore, si professa “filosofo per mestiere e per passione”: nel saggio “Andarsene” (ed. Diogene Multimedia, Bologna, 2016, € 5) l’autore propone infatti una significativa raccolta di punti di vista sulla morte – soglia che tutti, prima o poi, dobbiamo attraversare e che porta con sé le domande più misteriose e impegnative – e invita a riflettere su questo fondamentale tema esistenziale, evitando sia la tentazione della presunzione dogmatica che quella dell’ignoranza e della paura.
L’autore ricorda innanzitutto che un pensatore del ‘900, Wittgenstein, ha teorizzato l’impossibilità razionale di dare risposte a questioni rilevanti come quella del significato della vita e della morte. E, qualche secolo prima, Blaise Pascal aveva evidenziato che “gli uomini, non avendo potuto guarire la morte (…) hanno risolto, per vivere felici, di non pensarci”, ricercando continuamente “il trambusto che ci distoglie da quel pensiero e ci distrae”. D’altra parte un filosofo del calibro di Epicuro, nella lettera a Meneceo, esortava quest’ultimo a non temere la morte perché “quando ci siamo noi, non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo più noi. La morte quindi non è nulla, per i vivi come per i morti …”. Ma un altro grande filosofo greco, Platone, affermava che “le anime dei morti non cessano di esistere e che miglior sorte spetta alle anime buone, peggiore alle non buone”.
Per coloro che si collegano alla Rivelazione cristiana, che ha come suo fondamento l’Antico e Nuovo Testamento, è nota la risposta sul senso della morte e su una possibile vita futura: “Quali che siano le immagini mitiche per rappresentare l’Aldilà, di certo c’è che Dio non abbandonerà tutti i suoi figli nella regione dell’oscurità e del non-essere, ma – come è confermato nel caso paradigmatico di Gesù il Cristo – li richiamerà alla sua vita e li accoglierà nel suo abbraccio definitivo”. Ma credere nella resurrezione dei morti è un atto di fede che riesce difficile, se non impossibile ai non credenti: Cavadi riporta le opinioni di Sartre, di Celan, una poesia di Brecht con questo incipit: “Non vi fate sedurre: non esiste ritorno. Il giorno sta alle porte. Già è qui vento di notte. Altro mattino non verrà (…)” e il terribile “vangelo della perdizione” del sociologo e filosofo Edgar Morin: “Tutti i viventi sono gettati nella vita senza averlo chiesto, sono promessi alla morte senza averlo desiderato. (…) Non sono soltanto gli individui a essere perduti, ma, presto o tardi, l’umanità, e poi le ultime tracce di vita, e più tardi la Terra. (…) Il nostro mondo è votato alla perdizione. Siamo perduti”.
Se non si è credenti in un Dio amorevole che ci salva dal nulla, rimane solo la disperazione? Assolutamente no. Perché in ogni caso la meditazione sul morire può aiutarci a vivere meglio, a essere più solidali con tutta l’umanità e le creature viventi, a divenire più sobri e responsabili, a gestire il tempo con maggiore “leggerezza” e letizia. La tradizione buddista, che non ipotizza affatto una Trascendenza, raccomanda di vivere praticando la giustizia, la gioia, la compassione e la misericordia. Non a caso, alla domanda di un discepolo: “Ma la vita dopo la morte c’è o no?” un saggio avrebbe risposto: “C’è la vita prima della morte? E’ questa la questione!”.
Sbaglia allora la nostra società occidentale a rendere la morte un tabù, da nascondere e rimuovere. Se è vero, come afferma Remo Bodei in un testo citato da Cavadi – e purtroppo lo si sperimenta con la scomparsa dei propri cari – che “ogni volta che muore qualcuno, un intero mondo scompare e si perde per sempre”, è opportuno comunque vivere “come ospiti grati che cercano di capire perché sono finiti in questo mondo e quanto durerà. Vivere con un margine di incertezza non toglie responsabilità alle nostre azioni, ma lascia aperta la porta al dubbio che le cose, alla fine, possano rivelarsi diverse da come le abbiamo pensate”.
Infine, anche se non riportate da Cavadi, ecco, sull’aldilà, alcune toccanti parole di Natalia Ginzburg: “Alla morte si pensa continuamente, per tutta la vita. A volte pensiamo che ci sarà, dopo la morte, un’altra vita. Alcuni dicono che dopo morti ci si trasforma in cani o in gatti o in altri animali. Altre volte pensiamo che la morte darà riposo. Immaginiamo allora la morte come un piccolo paese, o come una piccola casa, o una stanza. Qui abiteremo per sempre, con tutte le persone che abbiamo amato. Delle diverse idee che abbiamo sulla morte, questa è l’idea che più di tutte ci è cara. Il vero riposo è stare sempre con le persone amate. E perché non potrebbe essere così la morte? Chi l’ha detto che non sarà così?”.
Maria D’Asaro
Nella foto di copertina, il libro “Andarsene” di Augusto Cavadi
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