di Domenico Losito, 3E
Il giovedì, non so perché, è uno dei giorni scolastici più difficili da affrontare e, una volta passati i giorni più emozionanti della settimana, mi ritrovai in quel fatidico 5 novembre.
La mattina, più tenebrosa e buia che mai, incombeva sulla casa come una sfera di cristallo; i lumi erano accesi e gli spifferi d’aria di primo mattino penetravano dalle fessure delle portefinestre.
Le voci del telegiornale che rituonavano ripetitive nella mia mente narravano gli episodi dovuti alla diffusione del Coronavirus, oramai in giro da quasi un anno.
Dopo aver sentito le ennesime precauzioni sulla prevenzione del virus, mi diressi verso scuola, per la prima volta a piedi.
Uscii dal portone principale e cominciai a camminare a passo veloce per incontrare al più presto i miei amici, anche loro in atto di sbrigarsi per arrivare in tempo a scuola.
La prima persona che incontrai lungo il mio andare fu Marta. Una volta raggiunta, lei iniziò a comportarsi in maniera presuntuosa e questo suo modo di essere arrogante diventò più intenso man mano che incontravamo i nostri compagni di classe.
Per fortuna dopo qualche minuto arrivò dalla stradina opposta a dove io e miei amici ci trovavamo Carlo, l’amico più audace e sincero del gruppo, il quale, appena notato il comportamento presuntuoso della ragazza, con un’aria giocherellona disse: “Marta, ti vedo strana oggi… perché drizzi la cresta?”
Mentre noi ridevamo, Marta iniziò a diventare più pallida del solito e la sua pelle più rugosa e giallognola, i suoi capelli neri che scivolavano sulle spalle sparirono in men che non si dica e al posto di questi spuntò una lunga cresta.
I suoi occhi iniziarono a ingrandirsi e arrotolarsi e sopra l’allungato becco leggermente incurvato si trovava un lungo bargiglio.
Marta, ormai diventata una gallina dalle forme sproporzionate, si diresse verso casa sua e sparì dalla nostra vista.
Io e i miei compagni, spaventati da questo avvenimento, ci strofinammo gli occhi e ci affrettammo ad andare a scuola.
Quando arrivò l’ora della merenda, io e i miei amici iniziammo a ragionare su quanto straordinariamente accaduto, consapevoli che una risposta a questo avvenimento non c’era.
La professoressa di attività motoria varcò in modo arzillo la soglia della porta e ci incoraggiò a raggiungere la palestra esterna della scuola.
Dopo gli esercizi di riscaldamento la professoressa preparò gruppi da cinque persone e iniziammo la corsa di resistenza.
Io dopo qualche minuto volevo cessare di correre: c’era, infatti, la mia mente che mi diceva di calmarmi e di procedere sempre con la stessa costanza nella velocità, il mio corpo stanco voleva riposarsi.
Finalmente la corsa dei sette minuti, durata un’infinità per me, finì.
Contento andai verso il quaderno degli appunti per inserire il mio punteggio abbastanza buono.
La professoressa fece un giro tra tutti i quaderni degli altri alunni e spiccò al suo occhio il punteggio strabiliante di Giacomo e meravigliata dal punteggio esclamò: “Capperi, che punteggio!”
Dopo qualche istante di serietà, Giacomo assunse una colorazione verdognola e acerba come un frutto ancora non maturo.
I suoi occhi si fecero più minuti fino a sparire, dalla sua testa folta di capelli iniziò a comparire un ramicello anche questo verde.
Il suo corpo alto e esile si fece piccolissimo e robusto e rilasciò un succo disgustoso giallognolo: dopo soli pochi minuti Giacomo si trasformò in un vero e proprio cappero che giaceva solitario sul campo da corsa.
Io stupito dell’accaduto non osai nemmeno guardare i miei compagni, iniziai a fingermi malato e, con la scusa di avere un forte mal di pancia, chiesi alla professoressa di andare a casa.
La professoressa acconsentì e tornai a casa: rimaneva irrisolvibile questa esperienza surreale.