dalla Redazione del TGTassoNews – Quella mattina del 2 dicembre 1930, fu indimenticabile per un pescatore salernitano che, tirando la rete sulla barca, caricò un oggetto enorme e pesante. Era completamente incrostato, quasi irriconoscibile, ma l’intuito gli disse che era qualcosa di insolito e di valore.
Non lo rigettò in mare e decise di portarlo sulla terraferma. Aveva appena pescato la testa di un Dio rimasto per più di duemila anni sul fondo del mare.
Avvisate le autorità di Salerno, subito accorsero esperti dal Museo Archeologico, che era stato fondato appena 3 anni prima di quell’evento. Dopo i primi rilievi, che inizialmente avevano lasciato pensare ad un busto di Alessandro Magno, si capì la verità. Dopo il restauro, affidato a Giulio Raccagni, si capì subito che in realtà si trattava di Apollo. Per giunta, con i suoi 50cm di sola testa, doveva essere una parte di una statua dalle dimensioni colossali.
Fu l’archeologo Domenico Mustilli, uno dei massimi esperti di scultura classica, a studiare per primo la testa della statua di Apollo. Secondo i suoi rilievi, il monumento colossale fu realizzato da Pasiteles, riconosciuto dagli antichi come artista straordinario, capace di dominare ogni tecnica di lavorazione come se stesse modellando la creta.
Probabilmente fu modellata tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., quando Salernum era una città romana.
Adesso è lì, nella sala del Museo Archeologico Provinciale di Salerno piena degli occhi di ammirazione di tutti coloro che vi accedono e quando ci si ritrova a guardarla per la prima volta, si è colti da un profondo silenzio. Un silenzio attivo fatto di osservazione e meraviglia
La vicenda suggestionò molto il poeta, premio Nobel per la Letteratura, Giuseppe Ungaretti che ne ricavò una prosa poetica di rara bellezza, “La pesca miracolosa”.