//Tito Schipa. “L’usignolo che mutava in nume”.

Tito Schipa. “L’usignolo che mutava in nume”.

di | 2019-02-23T07:22:22+01:00 22-2-2019 21:40|Alboscuole|0 Commenti
a cura della classe terza I – Abbiamo “scoperto”, con grande piacere, l’esistenza di un genere musicale che solitamente si ritiene lontano dagli interessi e dal gusto dei ragazzi. Ogni giorno, alle ore 12:00, quando il sole è alto all’orizzonte e illumina Lecce, la nostra bella città d’arte, in Piazza Sant’Oronzo risuonano le note di una canzone che accarezzano l’animo di chi le ascolta e lo predispongono ad affrontare serenamente il resto della giornata. Questo “miracolo” spetta al grandissimo tenore leccese Tito Schipa, l’usignolo della musica lirica italiana del primo Novecento; uomo dal grande cuore e dalla profonda sensibilità che scaturisce dal timbro della sua bellissima voce; celebre nel mondo e immortale al pari di una divinità dell’Olimpo. A testimonianza di ciò, i versi a lui dedicati e composti da noi alunni, sensibili al fascino della sua voce, al lirismo del suo canto e ai temi delle sue melodie, sempre attuali e coinvolgenti. 

Adesso che riposi sull’Olimpo

con Ganimede mescitore al tino

canti di Creta, Atene, Sparta e Tebe

novello sposo d’amorosa Ebe.

Non fosti al Limbo, sebbene peccatore

Minosse ti graziò perché divino

a  Radamante piacquero i sorrisi

di chi t’udiva mormorar gli incisi.

Dapprima destinato ai Campi Elisi

incoronato all’ombra degli eroi

Nerea volle recarti fino al mare

ad incrociare Lecce, pria d’andare.

Tu, Cadmo d’armonia, pregiata gola

che alle sirene avevi dato scuola

rapisti Europa, America e Salento

forgiando la tua voce nell’argento.

In Argentina replicasti Anselmi

cingendo elmi, persino il suo costume

l’Enotria scorse nascere le piume

di un usignolo che mutava in nume.

Turin, Milan, con Napule e Vercelli

s’avvider di gorgheggi tanto belli

quell’arie recitate con passione

di lemmi titolati da blasone.

Puccini stesso dirompeva in pianto

commosso dal lirismo del tuo canto

New York, Chicago, Londra, Baltimora

gridavano esultanti: “Ancora, ancora!”

Nascesti come fragile nessuno

solcasti i mari al pari di Nettuno

civilizzando il mondo del melismo

Ulisse inarrestabile e glorioso.

Risorto dalla pianta del “fasulo”

rinvigorito al suon della “purpetta”

guaristi  pronto a divenir famoso

virtù di un oste amante d’operetta.

Poi furon ville in California e altrove

scordata Emilia, successi e donne nuove

fedele a Lecce, non solo al repertorio

fondasti in essa il suo conservatorio

 

Come Minerva ulivo pose in Attica

desti ai Messapi in arte la didattica

per ripartire ai luoghi del Levante

perché, prima di tutto, eri cantante.

 

Se Poseidone, studiando l’onda al mallo

creò  il galoppo così come il cavallo

tu cavalcasti invero molte scene

col sangue del Salento nelle vene.

 

La vita d’ogni uomo, in grembo a Crono

appare una chimera, forse un dono

che il Fato a sè reclama senza scherno

negando facoltà d’essere eterno.

 

Re Sole stesso non durò per sempre

la tua Versailles le regie luci spense

Tanato giunse con Ipno sulle spalle

ponendoti sugli occhi un nero scialle.

 

Morfeo ti fa sognare, con iride al suo fianco

e viaggi, viaggi, viaggi senza sentirti stanco

un piccolo usignolo, più alto dei Titani

un disco che Puccini, ha ancora tra le mani…