di MATTEO PUPPO – Se fossi il presidente degli Stati Uniti d’America, avrei troppe questioni da evadere sul mio tavolo da lavoro. Tuttavia, riterrei prioritario risolvere il problema dell’utilizzo di armi nel mio paese.
Troppo spesso i media, infatti, hanno raccontato di ragazzi che si sono resi protagonisti di fatti di cronaca nera, uccidendo volontariamente o per sbaglio coetanei e genitori. In effetti, l’attuale legislazione, seppure con molti distinguo tra stato e stato, permette nei fatti ai giovanissimi di entrare in possesso e usare le armi fin dalla più tenera età: essi sono, quindi, portati a crescere in una società nella quale “giocare” con un fucile o una pistola costituisce la normalità. Se fossi io a decidere, ne limiterei dunque la libera vendita e soprattutto tenterei di trovare il modo di vietarne l’utilizzo da parte di minorenni.
Un altro problema sociale che cercherei di risolvere è quello dell’obesità, una condizione medica che dilaga, specie tra i giovani, spesso a causa di uno stile di alimentazione profondamente sbagliato. Del resto, gli Americani sono bersagliati da pubblicità ingannevoli, da parte delle grandi aziende multinazionali del cibo (come la Coca Cola o McDonald’s), e tendono a consumare junk food, finendo spesso per ammalarsi. Per affrontare tale situazione, finanzierei campagne di informazione e di ascolto atte a promuovere una dieta più sana.
L’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha puntato molto per farsi eleggere sulle paure legate all’immigrazione: appena ottenuto l’incarico, come aveva promesso a suo tempo, ha così dato il via alla costruzione di un grande muro al confine col Messico al fine di impedire ai clandestini provenienti da sud l’accesso negli Usa. A me sembra che tale provvedimento non aiuterà a risolvere il problema, anzi semmai aumenterà le divergenze tra le due nazioni confinanti. Evidentemente, gli Americani mal considerano gli immigrati messicani, ma un buon politico non può sempre e solo solleticare i peggiori desideri del proprio elettorato: ecco perché, se io fossi il presidente, favorirei progetti di educazione contro il razzismo, così da aiutare le due culture, quella americana e quella messicana, a trovare punti d’accordo. Cercherei quindi di combattere l’odio razziale, che è sempre il primo fondamento dei conflitti sociali scatenati dalla presenza di migranti, e, infine, di instaurare rapporti di collaborazione tra i diversi stati americani, al fine di distribuire tra di essi, in modo proporzionale alle possibilità di ciascuno, gli immigrati stessi.
A livello internazionale, invece, come tutti ben sappiamo, l’America ha continue controversie con la Corea del Nord, con la quale il presidente Trump non ha usato proprio la mano leggera. Vi è il serio pericolo che tra i due paesi nasca un conflitto nucleare che porti al coinvolgimento di tutte le altre nazioni. Se fossi presidente, abbasserei innanzitutto i toni, cercando di riportare il clima di tensione venutosi a creare alla calma. Inoltre, provvederei ad un attacco armato solo nel caso in cui la Corea minacciasse realmente il mio paese e non accetterei le provocazioni del dittatore coreano, il cui fine sembra, in effetti, solo quello di spaventare.
Si ringrazia per la collaborazione la professoressa Cristina Pastorino.