di Maria Chiara Contino (classe I^D) – Di recente siamo stati tristi spettatori di avvenimenti molto spiacevoli legati al fenomeno della baby gang. Questi episodi ci inducono a pensare che l’uomo può diventare più pericoloso di un animale quando agisce senza ragione e senza coscienza, in particolar modo quando si consolida una volontà delinquenziale verso una vittima innocente.
La violenza è un’azione scellerata, mostruosa e ingiustificabile, ma lo diventa ancora di più quando a compierla sono degli adolescenti. È il caso di quattro ragazzini di Varese tra i quattordici e i quindici anni, due albanesi e due italiani, i quali spinti da un’assurda quanto inspiegabile cattiveria, hanno sequestrato e torturato Giovanni, un loro coetaneo che, ignaro, attendeva un amico all’uscita di scuola. Il ragazzino è stato prima circondato dal gruppetto e poi “convinto” a seguirli in un garage. Per il povero Giovanni, quello è diventato il luogo della tortura, di un incubo lungo quattro interminabili ore. Con un coltello alla gola lo hanno minacciato per farsi dare delle informazioni su un compagno di scuola che doveva loro trenta euro, poi lo hanno colpito al collo del piede con una spranga, lo hanno preso a calci e pugni, lo hanno denudato e cosparso di acqua e sapone. Prima di lasciarlo gli hanno intimato di non parlare con nessuno, pena la sua stessa vita. Ciò nonostante, Giovanni ha avuto il coraggio di raccontare tutto alla madre, la quale ha denunciato alle forze dell’ordine l’accaduto, chiedendo giustizia. Il ragazzo è stato ricoverato sotto shock e ci vorranno mesi prima che possa riprendersi del tutto e tornare alla propria quotidianità. I ragazzini della baby gang si trovano oggi nel carcere minorile di Milano e ciò che tutti ci auguriamo è una loro presa di coscienza, affinchè riescano a meditare e a comprendere il danno arrecato al compagno, tirando fuori i reali motivi della loro voglia di ferire e fare del male. Spesso dietro atteggiamenti gravi di bullismo vi sono realtà e vissuti disperati che la società non può ignorare, ma deve sviscerare e recuperare.
Benedetto Croce diceva: “La violenza non è forza, ma debolezza né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla”.