Publio Virgilio Marone nacque ad Andes (forse l’odierna Pietole) presso Mantova il 15 ottobre del 70 a.C., sotto il consolato di Pompeo e Crasso.
Studiò grammatica e retorica a Cremona, Milano e Roma. Nella capitale entrò in contatto con gli ambienti letterari neoterici (poeti latini di una nuova corrente che facevano capo alla scuola di Cicerone), fu amico del poeta Elvio Cinna; si trasferì poi a Napoli, dove approfondì i suoi studi scientifici e filosofici e frequentò il circolo epicureo di Sirone; dal maestro ereditò un piccolo podere dove si ritirava sempre più spesso per comporre le sue opere.
Pubblicate le Bucoliche nel 39 a.C. (vi sono richiami alla terra natìa, al lavoro dei campi, alle rive verdeggianti del Mincio, ai casolari sparsi nella pianura), Virgilio si rivelò a 31 anni come il maggior poeta vivente; divenne oggetto d’interesse di Ottaviano e del suo stretto collaboratore Mecenate, il quale aveva cominciato a riunire attorno a sé un gruppo di letterati di grandi capacità; Virgilio stesso introdusse Orazio nel circolo.
Fu Mecenate a suggerire a Virgilio la composizione delle Georgiche (il poeta vi celebra i lavori agricoli nell’alternarsi delle stagioni), scritte tra il 36 e il 29 a.C.
Subito dopo, nello stesso 29 a.C., cominciò a lavorare all’ Eneide, un poema epico a carattere celebrativo in quanto aveva lo scopo di esaltare le origini di Roma e della stessa famiglia dell’imperatore Ottaviano. L’Eneide fu scritto prima in prosa e in un secondo momento in versi, dal 29 al 19 a.C.
Nel 19 a.C., Virgilio partì per un viaggio di studio in Grecia e in Asia dal quale si riprometteva di ricavare i perfezionamenti necessari alla redazione definitiva del poema. Ad Atene incontrò Augusto che rientrava in Italia e decise di accompagnarlo. Durante il viaggio però si ammalò e morì a Brindisi, il 21 settembre del 19 a.C.
Virgilio fu sepolto a Napoli, con epitafio un distico che egli stesso – si dice – dettò in punto di morte: Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc / Parthenope: cecini pascua, rura, duces («Mantova mi generò, i Calabri [la Puglia meridionale] mi portarono via (la vita), ora mi ha Partenope (la città di Napoli): cantai i pascoli, i campi, i condottieri»).
In punto di morte, Virgilio ordinò che il suo capolavoro, l’Eneide, venisse bruciato, perché lo considerava incompiuto. La sua disposizione però non fu rispettata: Augusto fece curare immediatamente l’edizione del poema.
Sulla vita del poeta sono fondamentali le notizie tramandateci dagli antichi commentatori, specialmente Elio Donato (grammatico latino, metà IV secolo d.C.) che compose Vita attingendo alla biografia virgiliana di Svetonio (biografo romano di età imperiale), non pervenutaci.
Riguardo l’aspetto fisico, le testimonianze ce lo descrivono alto e massiccio nel corpo ma cagionevole di salute, timido e riservato.
Incontriamo Virgilio, poi, nella divina commedia di Dante Alighieri; Virgilio è il “maestro” (così lo chiama Dante) ed è colui che lo accompagna nel viaggio attraverso l’Inferno e il Purgatorio.
Nel canto sesto del Purgatorio, Dante metterà in bocca a Virgilio la stessa parola «Mantua…» allorché incontrando Sordello da Goito questi lo interrogherà sul loro luogo di nascita, vv. 67-75.
N. Di Rodi- L. Mele 1^H