ANNA TORCICOLLO (V A LICEO CLASSICO) – “Ma l’amore, l’amore vero, l’amore intero, vuole una cosa e l’altra; vuole la fusione perfetta della sensualità e della tenerezza: anche per questo è raro”. Umberto Saba Questa è in assoluto la frase preferita di Eva, il suo motto. Sorride quando la ripete tra sé e sé, tanto da sentirsi forte fin dentro le ossa. Sorride alla vita, alla sua vita, e ringrazia il Cielo per averle permesso di non perdersi mai del tutto, neanche quando credeva di non farcela più. Oggi Eva è seduta al tavolo di casa sua: accanto a lei c’è un bimbo che mangia con voracità una merendina al cioccolato e al cui dolce pronunciare la parola “mamma” i suoi occhi splendono come non avevano mai fatto prima. Dall’altra stanza la raggiunge il marito: Eva sorride, riceve un delicato bacio sulla fronte e capisce di essere al sicuro. Aveva solo cinque anni quando sognava una vita come quella delle principesse che tanto ammirava in TV e ora sa di aver finalmente realizzato quel sogno. Si è fatto tardi… allo studio la stanno aspettando. È un’ottima avvocatessa e i clienti fanno la fila per affidarle un caso. Eva lavora molto e nello stesso tempo si dedica alacremente al bambino e al marito Andrea, ma quando ha un po’ di tempo libero corre dalle sue amiche secolari per due chiacchiere davanti a un buon caffè. Avrebbe tanto voluto farlo quando era ventenne, ma il destino aveva deciso diversamente… SETTE ANNI PRIMA Quando la pioggia bagna le strade, Eva ama sedersi accanto alla finestra per vedere le gocce che scivolano sul vetro un po’ appannato. Dice che esse sono come i suoi pensieri: leggeri e confusi, ma anche talmente rumorosi da non essere più considerati. Di fianco a lei c’è il suo libro preferito, con la copertina rossa, da sempre fermo a pagina 8. L’infuso alla menta che sta bevendo riflette il colore dei suoi occhi; il nonno le diceva sempre che erano tanto belli da far invidia al mare, ma Eva sa che da qualche tempo non è più così. Le lancette dell’orologio segnano le diciassette e quarantatré, il che vuol dire che ha ancora il tempo di fare un bagno caldo prima che lui rientri. Guarda la vasca riempirsi di schiuma profumata di lavanda e pensa che preferirebbe annegare in essa piuttosto che cenare con lui. Ha appena raccolto i capelli con un elastico, eppure qualche boccolo ribelle le scende lungo le spalle: sicuramente si bagnerà. È proprio il caso di tagliarli, così non avrà più tale problema e lui la smetterà di tirarglieli talmente forte da lasciarle il mal di testa per giorni. In fondo a Eva non importa che i boccoli ribelli si bagnino; le importa, bensì, che gli antidolorifici apportino i dovuti benefici. Sul comodino della camera c’è il blister ormai vuoto delle uniche compresse che sembrano aiutarla almeno un po’ quando la testa le pesa come un macigno; dovrà comprarne altre. Quando le serve una confezione nuova va in un’altra farmacia, per evitare che le commesse si chiedano perché ne compri una a settimana. E pensare che potrebbe fermare tutto ciò se solo avesse la forza; forse ce l’ha, ma è troppo spaventata per rendersene conto. L’acqua sta diventando fredda: è il caso di uscire. Vede la pelle d’oca sulle braccia e sulle gambe e pensa già che tra qualche ora lui rientrerà dal lavoro. È un brav’uomo… Chi non lo è se dice di amarti e te lo ripete spesso? Il problema è che lui lo fa quando Eva, quasi senza respiro e senza più lacrime da versare, si rifugia nel bagno. Sarebbe bello se invece glielo dicesse appena rientrato, a voler significare: “Sono fortunato ad avere te nella mia vita!”. La realtà, purtroppo, è ben diversa ed Eva si chiede quale azione talmente imperdonabile abbia commesso da meritarsi ciò. L’università non la entusiasma più, al pari di quella tanto desiderata laurea in Giurisprudenza. Lo stesso dicasi per i pomeriggi con le ex compagne di liceo e per un caffè al bar con l’amica d’infanzia, una volta sua vicina di casa, con cui è rimasta in contatto. È piena di impegni e non ha tempo: “Mi dispiace, sarà per un altro giorno”, dice loro; e intanto quel giorno non arriva da circa tre anni. In realtà Eva desidera tanto uscire per una semplice chiacchierata con le amiche mentre l’odore del caffè invade l’aria, ma sapendo che a lui non andrebbe giù, preferisce restare a casa. Alle diciannove in punto la porta di casa si apre. Lui posa le chiavi all’ingresso ed Eva avverte un brivido di paura lungo la schiena. Trascorre le giornate a chiedersi quale parte del corpo dovrà cercare di risanare oggi e quale domani: il braccio, la spalla, la gamba… la più gettonata è la guancia destra: sembra quasi che lui si diverta a riempirgliela di schiaffi. Eva non sa a chi chiedere aiuto, anzi pensa che gli altri non siano in grado di aiutarla. Di tanto in tanto le è concesso scambiare qualche parola con la madre, alla quale non sfugge il grigio velo di tristezza che le avvolge la voce. Quando lo ha conosciuto era convinta che lui fosse l’uomo giusto per lei: amavano entrambi la musica classica, la neve candida sui tetti delle case e il profumo del pane appena sfornato… ma da qualche settimana lui è cambiato e la spaventa così tanto che ha persino paura di nominarlo: nella sua mente, che quasi non ricorda il suo vero nome, riecheggia “lui”, “lui”, “lui”… Dopo essersi tolto la giacca lui le si avvicina e, quasi come se fosse automatico farlo, le prende i capelli e la trascina nell’altra stanza. Eva respira profondamente; con il tempo ha capito che mantenere la calma è uno dei pochi rimedi contro la sofferenza. Trattiene le lacrime al primo schiaffo, ma il secondo sfocia in un grido di dolore. Non ha il coraggio di guardarlo in quegli occhi colmi di odio; la prima volta che lo fece lui divenne irascibile, sbraitò e la spinse così forte da farle sentire lo spigolo del mobile tra le costole. Non è trascorsa una settimana, ma un mese, forse un anno, forse tre. Il viso angelico di Eva ha dimenticato cosa voglia dire riposare in tranquillità, poiché il pensiero che lui, durante la notte, possa farle del male non la lascia mai. La sera precedente ha dormito nel salotto perché le sue labbra, che lui ha colpito con un pugno, hanno sanguinato al punto da imbrattare completamente le lenzuola e rendere impossibile rimanere a letto. Nell’armadio Eva nasconde numerose testimonianze: Claudia, Barbara, Lucia e Amelia sono solo quattro delle donne che, in un modo o nell’altro, hanno voltato pagina dopo anni di umiliazioni, offese, stupri e maltrattamenti. Insieme a quei documenti, Eva custodisce gelosamente un foglietto di carta, ingiallito e un po’stropicciato ai bordi, su cui è scritto: “Per tutte le violenze consumate su di Lei per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi, Signori, davanti a una Donna.” (William Shakespeare) Eva rilegge ora quelle parole con occhi diversi e lì ha inizio la sua storia, cioè nell’esatto momento in cui è in grado di capire che la sua vita è molto preziosa e che ella è troppo bella, interiormente ed esteriormente, per trascorrere le giornate segregata in casa immaginando come possa essere il mondo fuori da quelle mura. È troppo intelligente per continuare a stare alla finestra e aspettare ancora che lui rientri per massacrarla di botte. “La violenza non è certo sinonimo di amore!”, ripete tra sé e sé. Sa che non è sola: insieme a lei ci sono circa sette milioni di donne tra i sedici e i settanta anni che sono oggetto di stalking, minacce, calci, pugni, strattonamenti e svalorizzazioni. Eva sa che vale molto più di un diamante, così come tutte coloro che si sono abbandonate al freddo abbraccio di chi voleva solamente approfittare della loro bellezza e dei loro sentimenti. I mass-media ci informano sugli abusi di genere e lo Stato cerca di essere rigido verso i colpevoli, ma non basta. Quando veniamo a conoscenza di tali azioni, noi donne rabbrividiamo e ci chiediamo se il Paese in cui viviamo sia per noi un luogo sicuro, se le stesse persone da cui siamo circondate siano per noi porti sicuri in cui rifugiarci; ci fa paura pensare che anche chi si mostra pieno di attenzioni ai nostri occhi potrebbe ingannarci, mentirci, sfruttarci. Siamo donne, amiamo smisuratamente e cerchiamo qualcuno con cui condividere i nostri sentimenti senza timore alcuno. Siamo donne e soffriamo quando la persona che amiamo non ricambia in maniera pura il nostro sentimento, come invece meritiamo. Saba ha saputo raccogliere il senso del vero amore in una semplice frase, quella che per Eva diviene un salvagente quando si sente annegare; ma lei non solo vuole resistere all’acqua, bensì spera anche di raggiungere il suo “luogo sicuro”. E la sua piccola, grande speranza diventa concreta quando comprende il valore della sua figura. I boccoli castani che la caratterizzano, così morbidi e leggeri, si mostrano determinati come la sua personalità. Ora sa che, come le altre donne, merita di essere considerata dal suo uomo un vero e proprio regalo, mentre è costretta a vivere senza svaghi in una casa le cui pareti riecheggiano delle sue paure, dei suoi dubbi, dei suoi dolori. All’alba del giorno successivo Eva si sveglia al sottile filo di luce che entra dalla finestra socchiusa illuminandole l’occhio dal contorno violaceo, quasi verde. Avverte dolore e si alza per prendere del ghiaccio dal congelatore. Ha dormito sul tappeto in salotto dopo essere caduta dal divano; quando accidentalmente le capita, lui non si preoccupa mai di farla alzare: la lascia giacere lì, quasi come se fosse senza vita. Il ghiaccio le causa brividi che si susseguono a catena: sente freddo…e non solo fuori. Il suo cuore si è costruito una sorta di cinta muraria difensiva che le permette di non affezionarsi troppo a chi la circonda, ma quella viene facilmente meno dinanzi al volto di lui che si mostra premuroso e gentile nei suoi confronti. In una realtà in cui l’amore prende strade e forme sbagliate e la donna viene messa al pari di un oggetto da utilizzare e gettare via alla minima fragilità, Eva crede che essere fragile sia una ricchezza e ritiene che la più bella dichiarazione femminile sia il cuore che si consegna a un uomo ricevendone la conferma che LUI lo proteggerà con ogni mezzo possibile. Eva riflette sui momenti della storia passata in cui le figure femminili diventavano protagoniste di vere e proprie opere d’arte: sembrano essersi dissolti nel nulla. Dalla scarsa importanza nella società medievale, la donna passò a essere intoccabile e irraggiungibile nel periodo dell’amor cortese e in epoche successive assunse i contorni di una visione celestiale, come fu Laura per Francesco Petrarca, Beatrice per Dante Alighieri, Silvia per Giacomo Leopardi. Non sono mancati, tuttavia, momenti in cui l’amore ha assunto sfumature errate: ne “I Promessi Sposi” la giovane Lucia diventa oggetto di un desiderio malato e ossessivo da parte di Don Rodrigo, ma poi ella ritroverà in Renzo il significato del vero amore. Eva trae forza da quella riflessione e anche dalle storie di donne che hanno saputo farsi strada senza il bisogno della costante presenza di una figura maschile al loro fianco, come Nilde Iotti, prima donna nella storia della Repubblica Italiana a ricoprire la carica di Presidente della Camera dei Deputati, e tante altre divenute simbolo mondiale dell’emancipazione femminile: Alda Merini, Marie Curie, Frida Kahlo, Malala Yousafzai, Margherita Hack… tutte donne che hanno cambiato il mondo perché, come affermava Rita Levi Montalcini, “non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza.” Eva si convince così che deve voltare pagina, dire basta e parlare, perché merita molto di più dalla vita, anzi, merita una vita. OGGI Chi oggi guarda nei verdi occhi di Eva si sente trasportare dalle onde del mare come se ne sentisse il rumore, come si fa con le conchiglie trovate in spiaggia. I suoi capelli sono lunghi, proprio come li ha sempre desiderati; non deve più preoccuparsi del dolore provato dopo una strattonata. Ella era morta dentro all’età di venti anni, mentre le sue coetanee vivevano con spensieratezza i loro giorni. Oggi si sente viva più di quanto non sia stata in tutta la sua esistenza, proprio come indica il suo nome che, come ha scoperto da una ricerca sul web, deriva dall’ebraico e letteralmente significa “essere vivente, colei che è vita”, poiché associata alla figura religiosa di Adamo. Inevitabilmente il dolore vissuto in quegli anni le ha lasciato segni indelebili nell’anima e cicatrici reali lungo i fianchi che oggi non ha timore di nascondere. Su una mensola nella stanza da letto della sua nuova casa c’è il suo libro preferito, con la copertina rossa, non più fermo a pagina 8, ma concluso. Eva è cresciuta, Eva è diventata Donna più di quanto non fosse già. Cammina a testa alta e stringe le mani di Claudia, Barbara, Lucia, Amelia: grandi donne che, pur non avendo mai avuto l’occasione di conoscerla, hanno creduto in lei più di chiunque altro. Per Eva “lui” è solo un lontano ricordo… “Probabilmente non sei più chi sei stata ed è giusto che così sia.” “Probabilmente” (Eugenio Montale)