//Orazio e Verga: l’arte della felicità

Orazio e Verga: l’arte della felicità

di | 2024-01-30T18:17:31+01:00 30-1-2024 18:17|Alboscuole|0 Commenti
di Fabiola Napolitano “Come mai, Mecenate, nessuno vive contento della sua vita, che l’abbia scelta lui o che il caso gliel’abbia gettata avanti, e loda chi ha percorso un’altra via?” E’ così che Orazio, autore latino dell’età antica, iniziava una delle sue raccolte più importanti: le satire.  La felicità risiede, dice Orazio, nell’accontentarsi (est modus in rebus) e felice è solo l’uomo che conosce sé stesso, non colui che insegue onori e ricchezze. Orazio stesso, però, afferma di non aver mai conosciuto qualcuno che abbia detto “ho vissuto felicemente”, perché l’uomo compie l’errore di voler desiderare sempre di più, di non accontentarsi mai di ciò che ha. E’ infondo lo stesso errore di Mastro Don Gesualdo, uno dei personaggi più rappresentativi della letteratura italiana e protagonista dell’omonimo romanzo di Verga.  Gesualdo, originario di Vizzini, in Sicilia, da muratore riesce a diventare un Don sposando Bianca Trao, fanciulla nobile che però non lo ama e sceglie di sposarlo per rimediare alle difficoltà economiche della sua famiglia. Il frutto del loro matrimonio sarà Isabella, che innamoratasi del cugino Corraro, verrà costretta a sposare un nobile di Palermo. Mastro, circondato da ricchezze, si ritrova improvvisamente vedovo e ammalatosi di un cancro che i suoi soldi non possono curare si trasferisce dalla figlia assistendo al declino delle ricchezze che aveva deditamente accumulato in vita. Morì solo in una stanza disprezzato persino dal servo che lo assisteva. Mastro Don Gesualdo, quindi, nella sua vita non si è mai accontentato delle sue condizioni (era infondo un self – made- man) e ha sempre pensato ad accumulare quante più ricchezze possibili che sul finir dell’esistenza non hanno giovato a nulla: i soldi lo avevano accecato senza permettergli di conoscere l’amore e la felicità. Se ci riflettiamo attentamente, continuiamo veramente a pensare che la letteratura sia solo un tuffo nel passato che ci allontana dal presente? Quello che ha fatto Mastro Don Gesualdo non è forse quello che cerchiamo di fare noi ogni giorno lasciandoci influenzare dalle effimere ricchezze allontanandoci da ciò che di bello ci rimane?