di Carlo La Vecchia, 5ª D –
In una fredda giornata d’inverno, alcuni porcospini si avvicinano teneramente fra di loro per farsi calore a vicenda. Ben presto, però, il quieto tepore dei loro corpi viene sopraffatto dal dolore degli aculei, tanto pungente da costringere i porcospini alla fuga. Da quel momento, i porcospini vagano incessantemente fra una misura e l’altra, senza mai trovare pace, in attesa di una primavera che non arriverà mai.
Questo aforisma, ideato da Arthur Schopenhauer (1788-1860) e riportato anche da Sigmund Freud (1856-1939), ben esprime la condizione dell’uomo, combattuto tra la paura della solitudine e la consapevolezza che avvicinandosi ai propri simili finirà necessariamente per ferirsi. E non basteranno “protezioni” come le norme sociali o un giusto compromesso, siccome l’uomo, non sentendosi mai pienamente soddisfatto o compreso, continuerà a desiderare quella stessa intimità che lo ferisce.
Una soluzione a questo paradosso viene proposta dalla serie anime del 1995 Neon Genesis Evangelion, prodotta dallo studio Gainax e sceneggiata da Hideaki Anno. In un mondo post-apocalittico devastato da esseri mostruosi noti come “angeli”, un ragazzo viene reclutato dall’enigmatica Nerv per pilotare un colosso di nome “evangelion” al fine di eliminare tutti gli angeli. Sebbene la giovane età del pilota (14 anni) e la forte presenza di macchinari sci-fi e scene d’azione faccia pensare al tipico mecha giapponese, esso si configura più come una rigorosa parodia del genere, che decostruisce gli archetipi e consegna allo spettatore esattamente l’opposto di ciò che si aspetta.
L’autore si staglia fin da subito dall’escapismo che aveva caratterizzato il mercato anime dell’epoca: Shinji Ikari, il protagonista, è sgomentato dall’idea di pilotare un evangelion, di sentirsi responsabile, di rischiare la vita per un lavoro per cui non riceve alcun riconoscimento, ma che deve compiere forzatamente siccome è l’unico pilota valido. Orfano di madre e abbandonato dal padre, che troppo preso dal dirigere la Nerv lo aveva affidato a un tutore, Shinji è ben lungi dall’essere un eroe, preferendo fuggire o piangersi addosso piuttosto che accettare la realtà. Il suo atteggiamento alienante e autocommiserativo è però il segno di un trauma represso dalla sua stessa tendenza a fuggire, il quale verrà a galla dopo una fitta serie di flussi di coscienza e sogni psicoanalitici. Shinji inconsciamente agisce sempre per essere accettato dal padre (il quale continua a considerarlo un bambino capriccioso), senza mai ricercare quella stessa accettazione in se stesso, stimandosi un essere inutile. Nonostante brami tanto l’approvazione, si dimostra incapace di ricevere l’amore di un altro essere umano, considerandosene indegno, oppure rifuggendolo perché fonte di impegno e dolore. Egli è il porcospino che evita il contatto con gli altri, che appare disinteressato al loro parere ma che invece ne è schiavo.
Shinji nella sua introversione è convinto di essere una sorta di “vittima” e finisce per travisare i problemi che affliggono gli altri, apparentemente così diversi da lui. Anche gli altri piloti di evangelion infatti sono orfani e hanno difficoltà a comunicare. Rei Ayanami, per esempio, appare una ragazza schiva e distaccata, che dedica la propria esistenza a eseguire meccanicamente gli ordini impartiti dalla Nerv; in realtà prova un affetto quasi materno per Shinji che però fatica a dimostrare, non avendone mai ricevuto a sua volta. Asuka Langley, al contrario, esprime con forza il proprio carattere, fiera ed energica, ma anche impulsiva e testarda. È perfezionista, desidera stare sempre al centro dell’attenzione, competitiva al punto da apparire spesso antipatica. In realtà tanta ostentazione del proprio orgoglio scaturisce da una forte insicurezza di fondo, dalla stessa alienazione che caratterizza Shinji, in cui riconosce il suo lato più debole ed esposto, che lei si ostina costantemente a rinnegare (motivo che la porterà a detestare il giovane pilota).
Proseguendo nella visione dell’opera, lo spettatore potrà notare come in realtà tutti i personaggi della serie, anche i più socievoli o spensierati, siano contraddistinti da un’intensa sensazione di isolamento. La Nerv stessa (spoiler!) in realtà non è che un’organizzazione fondata per eliminare alla radice quest’alienazione, fondendo tutte le coscienze in una, che placida e appagata possa assumere i caratteri di una divinità. Sarà però proprio Shinji ad accorgersi della vacuità di tale progetto, siccome una coscienza che vive di se stessa vive di nulla, non avendo nulla con cui confrontarsi. Infatti l’individuo viene definito dal rapporto con gli altri, rapporto che seppur carico di sofferenze, è l’unico modo per conoscere se stessi e approcciarsi alla vita, che altrimenti si ridurrebbe a una costante caduta nel vuoto.
In questo modo Hideaki Anno, che prima di sceneggiare Evangelion era stato affetto da un profondo stato depressivo per cui aveva passato quattro anni di isolamento in casa, intende diffondere un messaggio positivo, di accettazione della vita, che seppure a volte possa apparire come un passivo subire, può regalare molto di più se le si va incontro.