//Maturità, un rito e una speranza da salvare

Maturità, un rito e una speranza da salvare

di | 2020-05-02T12:14:27+02:00 1-5-2020 18:29|Alboscuole|0 Commenti
Quinto ed ultimo anno di scuola. Quanti stati d’animo ed emozioni! Siamo la generazione di maturandi che, suo malgrado, passerà alla storia come “quella del Coronavirus“. Un anno scolastico incredibile ed eccezionale. Cercherò di ripercorrerne le tappe. Primo giorno di scuola. “wow…”. Era tutto ciò che la mia mente era riuscito a produrre, da quando avevo messo il primo piede nell’atrio a quando ero entrato  per la prima volta nella nuova “vecchia” classe, che sarebbe divenuta nuovamente la mia seconda dimora per quell’anno. Dopo aver riabbracciato volti amici che l’estate aveva separato e aver fatto la conoscenza di due nuovi studenti, presi il mio usuale e ormai fin troppo familiare posto al primo banco, poco distante dalla cattedra. Mi guardavo intorno spaesato, attonito: in fondo l’ambiente era sempre lo stesso, ma in verità era tutto diverso. Proprio come quando si entra in una panetteria e l’odore di pane appena sfornato rievoca ricordi d’infanzia, così io nel sedermi al mio posto e nell’udire nuovamente i caratteristici suoni (la baraonda degli studenti al passaggio nei corridoi, lo stridio dei banchi spostati e il riecheggiare delle parole che colmavano la stanza), mi feci trasportare in una riflessione introspettiva. In me si scontravano sentimenti opposti: la felicità nel poter vivere questo viaggio con tutto ciò che ne sarebbe conseguito e la consapevolezza che quest’anno sarebbe stato l’ultimo, per non parlare dell’esame di stato che ora piú che mai incombeva su di noi. Il pensiero delle gite e delle tante altre attività extracurriculari che ci sarebbero state riuscirono a scacciare via quelle ombre di un finale incognito. Certo non potevo immaginare l’inaspettata conclusione a cui saremmo giunti da lì a pochi mesi. Ma avanziamo per gradi. Da quel giorno i mesi passarono veloci, e le lezioni con loro, tra un alternarsi di routine e di novità.  Fin da subito eravamo entrati nel vivo dello studio, tra lo sconcerto di chi era ancora rimasto sotto il cocente sole estivo a rilassarsi coi piedi immersi nella sabbia. I professori ci introdussero subito nell’ottica esame, e dunque le lezioni erano già orientate su come prepararne uno impeccabile. Quest’accelerazione lasciò perplessi alcuni di noi, a detta loro era ancora troppo presto per parlare dell’esame di stato. Non so esattamente chi avesse ragione, ma già da allora avvertivo che la tensione “maturità” era forte. Intanto, una delle novità più chiacchierate, introdotte l’’anno precedente, le “tre buste” del colloquio , era stata abolita dal nuovo ministro dell’Istruzione Fioramonti.  Ciò era stato accolto favorevolmente dagli studenti. Molti di noi, infatti, tirarono un sospiro di sollievo. L’incognita degli argomenti di cui discutere suscitava non poca ansia, ed onestamente anche io ero dello stesso avviso. Dopo le dimissioni di Fioramonti ennesimo cambiamento della struttura dell’esame, che fecero sprofondare tutti, sia docenti che studenti, in una nube di mistero. Il 30 gennaio,  il Ministero dell’istruzione comunicò le materie dell’esame, oramai sempre più imminente. Ciò che piú ci preoccupava era la nomina di commissari esterni per materie come “Economia aziendale” e  “Matematica”.  Com’era prevedibile, i nostri docenti di tali materie raddoppiarono gli sforzi per prepararci al meglio.  Inutile dire dello stress cognitivo ed emotivo che  stava incominciando a manifestarsi quasi nella totalità della nostra classe. Lo spettro dell’esame, prima  una massa indistinta e indefinita, era divenuto molto più nitido,  Da lì in avanti  cominciammo pian piano a realizzare che l’esame era più vicino di quanto pensassimo, i sentimenti (più negativi che positivi) si acutizzarono e lo scenario che andava a prospettarsi sembrava più reale che mai. 20 febbraio: credo che non dimenticherò mai quel giorno! Il mio ultimo giorno di scuola, o per lo meno della scuola che conosciamo. Se qualcuno mi avesse detto che dalla fine di febbraio non avrei più messo piede a scuola, avrei sicuramente riso per tale assurdità, forse avremmo riso tutti. E ci saremmo tutti sbagliati. Quando ci ripenso rimango ancora sbalordito, perché è sbalorditivo come in un attimo tutto possa cambiare. Solo pochi giorni prima noi studenti insieme ai docenti lavoravamo uniti e coesi separati da pochi metri gli uni dagli altri. Pochi giorni dopo le misure della quarantena ci avevano allontanati di chilometri. Il ministero allora ha introdotto la didattica a distanza, affinché la scuola non si fermasse, ma i problemi non sono mancati. Tra chi non disponeva della giusta strumentazione, chi aveva problemi di connessione e chi trovava difficoltà a capire le lezioni tramite dispositivi elettronici, una sola cosa era certa: la scuola aveva subito un cambiamento radicale, perdendo consistenza e attaccamento alla realtà. Dietro uno schermo tutto sembra vacuo, lontano, distante, privo di significato. Navigavamo tutti in acque sconosciute, sperando ogni giorno che il telegiornale, ormai unico contatto rimasto con il mondo, ci aggiornasse sulla situazione scuola. Tante proposte si sono succedute, partendo dall’ipotesi (già accantonata) di poter riaprire le scuole per il 18 maggio con prove scritte e orali, a quella attuale in cui l’esame vedrà solo il colloquio orale. Col dubbio: a distanza o in presenza? La prima ipotesi era la più plausibile. Ma si accendeva una discussione pubblica. Ad innescare il dibattito era un articolo dello scrittore Paolo Giordano: “Maturità, salviamo l’orale”. Egli esortava il Ministero a consentire che l’esame si svolgesse in presenza: un giorno così importante nella vita di un giovane non poteva essere condotto a distanza, ma necessitava del sempre più assente contatto umano della presenza dei docenti “per dare il giusto valore a questo irripetibile rito di passaggio”. E sembra che quest’appello abbia portato ad un ripensamento e si vada nella direzione di un esame in presenza (con le dovute cautele). In questi giorni la chat di WhatsApp della nostra classe è sempre stracolma di messaggi. Messaggi tristi, allegri, messaggi di chi vorrebbe uscire, messaggi di chi è ansioso per via dell’esame, messaggi di ragazzi che cercano in tutti i modi di tenersi uniti, di stare insieme anche a distanza, messaggi di ragazzi a cui basterebbe solo lo sguardo di un amico, di qualcuno caro per sentirsi meglio. I dubbi, le perplessità, i momenti di sfogo non trovano posto solo tra noi ragazzi, ma vengono condivisi anche con i nostri professori. Nelle numerose chat che abbiamo con loro, la didattica non è l’unico argomento. Essi fin dai primi giorni della pandemia hanno fatto sentire la loro presenza: commentando a più riprese le modifiche via via apportate all’esame in modo da dissipare i nostri dubbi, incoraggiandoci, esortandoci, facendo volgere il nostro sguardo ad un futuro più roseo. Insomma il loro supporto ha sicuramente avuto un impatto positivo in questi giorni dove la negatività sembra essere l’unica costante. Per cui mi ritrovo qui, seduto alla mia scrivania e circondato da queste mura, ormai mio solo paesaggio, a scrivere questo articolo, con il cuore appesantito da questa tragedia, ma finalmente un po’ più carico di speranza, la speranza che quando il giorno dell’esame arriverà potremo guardarci negli occhi ancora una volta. E più maturi. LUIGI MAGLIONE (5^ C)