di Martina D’Itri-3^D
E’ bastata una sola parola, evocatrice di paure,per farci tornare indietro nel tempo: pandemia! . “Non allarmatevi”-così dicono-, ma la realtà è evidente: per le strade sembra quasi di vivere in un film, scene che lasciano a bocca aperta e gente in lacrime. Per moltissimi giovani è una situazione del tutto nuova ed è forse il motivo per il quale molti non ne colgono la gravità, ma il panico generato dalla diffusione del virus risveglia, nella memoria di chi li ha vissuti, i ricordi dell’epidemia del colera. A circa 47 anni di distanza forse la speranza del progresso ci ha ingannati: abbiamo pensato che tutto si sarebbe risolto in poco tempo e invece, nonostante la medicina sia progredita, non si riesce a trovare una soluzione. Fa paura questo periodo come ha fatto tanta paura il tempo del Colera che, a differenza del COVID-19, si è abbattuto in primis sul Meridione e non mancarono coloro che strumentalizzarono l’emergenza per attaccare i propri “avversari”. Oggi il caos ha invaso prima il Nord, ma il Sud sa quanta sofferenza può causare un’emergenza sanitaria. La dicotomia tra Meridione e Settentrione nel passato è stata molto evidente e continua ad esserlo ancora oggi nell’ignoranza delle persone, in chi in momenti così inappropriati non perde l’occasione di innalzare striscioni con su scritto:”Napoletani figli del colera vi mettiamo in quarantena”. Di certo il coronavirus non è paragonabile al colera, ma, oggi come allora, affermazioni ridicole verso i Meridionali offendono il buon senso e soprattutto gli ammalati. Ma una cosa resta invariata nel tempo: l’importanza di un abbraccio, il valore di un saluto, il potere di una risata in compagnia e,oggi più che mai, bisogna “darsi la mano”, “stringendosi da lontano”, con la speranza che, ben presto, come ci dice Papa Francesco: “sarà tutto un ricordo, ma la normalità ci sembrerà un regalo inaspettato e bellissimo”. E intanto i napoletani, per restare insieme anche se lontani, a un orario determinato e diverso nei diversi quartieri, “per ricordare la nostra napoletanità”-come dice un noto Docente universitario- si danno appuntamento per cantare una canzone, diversa per ogni quartiere: il canto a Napoli ha una funzione catartica.
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