di Giorgia Sergio
C’era una leggera brezza, avevo la schiena indolenzita. Sfarfallai un po’ e poi mi svegliai.C’era un problema però: non ero nella mia camera, ero in una stanza molto buia: “Eppure è pieno giorno” pensai.Su due letti rosa affiancati a un muro bianco sporco, quasi giallastro, c’erano altre due bambine.Cercai di capire la causa del mio dolore alla schiena…ero stesa a terra, così mi alzai, mi girò la testa, rischiai di cadere.Nella stanza entrò una donna. “La madre delle bambine” supposi.Sembrava molto preoccupata.Velocemente svegliò le bambine, poi si avvicinò a me, mi prese per mano e mi trascinò con loro in una stanza molto buia, una specie di cantina.Da fuori provenivano dei rumori incomprensibili, c’era un caos indescrivibile, che pian piano si fece sempre più vicino, sempre di più, sempre di più e poi…silenzio tombale.
Allora uscimmo dalla cantina e andammo in una specie di cucina; era tutto in disordine, malandato, vidi che tutti si sedevano, così lo feci anche io; ero molto confusa e chiesi perplessa:“Scusi, signora? In che anno siamo?”.La risposta che ebbi non fu proprio quella che mi aspettavo:“Cosa vuoi dire figliola?”.
Figliola? Ero sconvolta, cercai un calendario: dieci settembre 1943, sgranai gli occhi, mi diedi un pizzicotto per vedere se sognavo…ERA TUTTO VERO! Ero nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, quella che avevo davanti era la mia famiglia.Mi ricomposi e feci finta di nulla quandosi sentì di nuovo quel caos venire sempre più verso di noi, solo che questa volta non se ne andò più: entrarono in casa degli uomini alti: “I soldati tedeschi” pensai subito.Vidi “mia madre” inserire in una valigia alcuni vestiti, mentre veniva strattonata insieme alle “mie sorelle” che mi fecero cenno di prendere una collana, di oro credo, che si trovava sul tavolo insieme ad una foto della “nostra famiglia”. Un altro soldato si avvicinò a me, mi spinse e, insieme a “mia madre” e alle “mie sorelle”,mi portarono fuori casa e mi condussero verso dei grandi treni merci, superaffollati.Ci buttarono dentro.C’era una gran puzza, molta aria consumata e polvere dappertutto e fu lì che mi accorsi davvero di quello che stava per succedere: STAVAMO ANDANDO A MORIRE, TUTTE!
Passarono giorni e giorni, giorni che sembravano non finire mai, avevamo solo un secchio per i bisogni, le persone morivano anche solo per una semplice febbre, come accadde alle “mie sorelle”, entrambe, nello stesso giorno, alla stessa ora, nello stesso momento.Io e “mia madre” cercavamo di tenere duro, io cercavo di tranquillizzarla e starle vicino il più possibile, quando anche lei se ne andò ed io rimasi sola, imperatrice di me stessa, a controllare una situazione del genere.
C’era un vento incredibile, io ero sempre più debole, il treno continuava il suo viaggio della morte, verso la morte, ma non per molto: si sentì una forte botta, sbattemmo uno sull’altro e poi mi accorsi…eravamo arrivati alla nostra morte.Quando uscii dal treno vidi l’entrata del campo, era terrorizzante, stavano tutti ammassati: bambini, donne, uomini, tutti che entravano nelle porte dell’inferno in terra, il vero inferno, la vera terra della disperazione e della disgrazia.Si sentivano pianti di bambini separati dalle madri, pianti di madri separate dai loro figli, tutti che entravano attraverso una porta circondata da filo spinato, la stessa porta che per noi ha segnato la storia, la stessa storia che per il passato ha seminato…MORTE e solo morte.
Passarono gli anni ed io ero sempre nella stessa baracca a deperirmi e ad aspettare solo il mio biglietto di sola andata per la “doccia”.Ero sempre più magra, non riuscivo a parlare, a muovermi e persino a dormire, ero una morta vivente e non quei morti viventi che si vedono nei film, quelli contemporaneamente odiati e amati.No, io ero solo odiata, così odiata da meritare la morte. E per cosa? Perché un gregge di fanatici mi considerava “inferiore”.E ora ditemi, ditemi voi se questa è vita.
Fece irruzione nella stanza un soldato che, con postura dritta, faccia immobile, priva di emozioni, quasi come quella di un robot, prese una decina di bambini per il braccio, compresa me, per portarli alle “docce”. Ero distrutta, sì, ma sollevata…finalmente avrei messo la parola fine alle mie sofferenze e avrei finalmente scritto l’ultima pagina di quel disgraziato libro che era la mia vita.
Dopo un tempo interminabile, arrivò la mia ora: il soldato mi invitò a entrare nella “doccia”.Pian piano mi sentii soffocare da una cappa incredibile, il mio respiro si fece sempre più affannato, sentivo le vie respiratorie chiudersi, ero sempre più stanca.Iniziai a sfarfallare, vedevo sempre più appannato e sfocato poi…BUIO, un buio che mi pervase, lo stesso buio che mi fece sempre più chiara la verità: il passato è solo un inferno, una trappola mortale da cui nessuno può scappare, una trappola chiamata…MORTE.