di Maria Loguercio -Una volta nella vita è un film diretto da Marie-Castille Mention-Schaar e prodotto in Francia nel 2014, ha una durata di 105 minuti ed è di genere drammatico. Il film è ispirato ad una storia vera ed è girato in una scuola: il liceo Léon Blum di Créteil, una città che si trova nella banlieu sud-est di Parigi. Anche se i protagonisti sono gli alunni di una classe seconda di questo liceo e la loro insegnante di storia: Anne Gueguen, il film è molto bello e non è consigliabile solo agli studenti e agli insegnanti, ma anche ad adulti che non lavorano in ambito scolastico. Si può capire meglio dal titolo in francese “Les Héritiers”, “Gli eredi” perché noi ragazzi siamo gli eredi del futuro e se non veniamo aiutati durante quest’età, domani che cosa ci sarà, ci potrà mai essere un futuro?
Nella classe i ragazzi sono di diverse etnie, hanno religioni diverse, ognuno vive un diverso contesto familiare, c’è chi ha i genitori che beve… Il preside cerca di fare la sua parte
non facendo indossare il velo alle ragazze musulmane, le gonne lunghe, fa mettere il crocifisso sotto la maglia; secondo me è sbagliato perché ognuno è libero di mostrarsi così com’è e in più non si risolve niente. Nella prima scena c’è una ragazza che va a prendere il diploma e che non le viene consegnato solo perché quel giorno indossa il velo. Dopo questa breve introduzione che ci fa capire quali sono le rigide regole della scuola inizia la storia dei protagonisti.
I ragazzi di questa seconda, essendo “diversi” non vanno d’accordo, si fidano delle “apparenze” mostrandosi anche deboli: ad esempio quando arriva una supplente che appena dopo aver finito di presentarsi, viene aggredita dagli studenti che la offendono e fanno caos. La loro è considerata la classe peggiore dell’istituto per i voti che hanno, le assenze ingiustificate, le sospensioni… I ragazzi credono che la scuola sia una perdita di tempo dove poter ascoltare la musica, farsi la manicure… La professoressa di storia vuole fare qualcosa, vuole far capire ai ragazzi che a scuola non si perde tempo, vuole insegnare la vera “scuola” dove si scoprono le proprie abilità, si impara a collaborare, a fare squadra, dove non si imparano le cose, ma si comprendono, si capiscono; perciò propone alla classe di partecipare ad un concorso che ricorda il passato, le atrocità della seconda guerra mondiale, il genocidio e la Shoah soprattutto vissuti dai bambini e dagli adolescenti: il concorso nazionale della Resistenza e della Deportazione indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Al primo incontro per la realizzazione del lavoro per il concorso, si presentano solo due ragazzi, però dopo ne arrivano altri e a poco a poco partecipa tutta la classe. Inizialmente si formano piccoli gruppetti, sempre uguali, rivali fra di loro, non si lavora come una vera e propria squadra, però piano piano iniziano a collaborare, formano due gruppi facendo un sorteggio e a leggere i nomi è proprio un ragazzo che non parlava mai. La professoressa procura ai ragazzi delle fonti per il concorso come libri che parlano dell’argomento, li porta al museo dell’Olocausto che si trova vicino ad un centro commerciale dove volevano andarci inizialmente delle ragazze, però non ci vanno più perché comprendono la storia. La prof organizza anche un incontro con un ex deportato: Léon Ziguel morto nel 2015. Luinon era un attore, ma una persona che ha realmente vissuto gli orrori della deportazione e che è riuscita a sopravvivere. La scena dell’incontro è stata girata solo una volta e la regista aveva detto agli attori di dimenticare che sia un film, di pensare che sia qualcosa di reale. Questa è stata la mia scena preferita perché è riuscita benissimo, si vedeva la commozione dei ragazzi e non degli attori, la storia li ha toccati molto e anch’io mi sono commossa; non guardo molti film sulla Shoah perché non riesco a pensare a tutte quelle persone: uomini, donne, bambini, anziani che venivano private tutte della loro identità, che erano costrette a svolgere lavori pesantissimi, che non avevano abbastanza cibo, che venivano uccise senza motivo.
Dopo questa storia i ragazzi si sono impegnati tantissimo e sono diventati molto uniti, hanno portato il lavoro a termine e lo hanno intitolato “Je suis une exeption”, “Io sono un’eccezione”, una frase letta da un ragazzo su un libro, dove un bambino dice di essere un’eccezione perché di bambini deportati ne sono sopravvissuti pochi. I ragazzi hanno anche fatto volare dei palloncini bianchi ai quali erano attaccati dei foglietti e sopra c’erano scritti dei nomi di alcuni bambini che hanno vissuto gli orrori della guerrae ai quali veniva ridata un’identità come quella data in un fumetto dove c’è la stessa foto che i ragazzi avevano visto al museo: quella di persone decedute nella camera a gas, però sul fumetto queste persone hanno dei vestiti e diverse acconciature, nel museo c’è invece quella reale dove le persone sono nude e rasate.
Dopo aver spedito il lavoro, i ragazzi hanno infine ricevuto una convocazione alla premiazione del concorso, sono arrivati al primo posto e infine hanno festeggiato tutti insieme facendo un pic-nic vicino alla Tour Eiffel. Alla premiazione mancava però un ragazzo che non riusciva a collaborare, è riuscito ad integrarsi più tardi ai compagni augurandogli una buona fortuna quando stavano partendo per andare alla premiazione.
Ho davvero apprezzato la storia di questa classe e il coraggio di una professoressa che ha soltanto svolto il suo lavoro, all’inizio non aveva l’appoggio di nessuno, perfino il preside diceva che sarebbe stata una perdita di tempo, era meglio far partecipare al concorso un’altra classe che era tranquilla, si impegnava e non stava indietro col programma, però lei non si è arresa, il suo obbiettivo di far diventare la classe una squadra, è stato raggiunto. Lei è anche stata aiutata dai suoi colleghi quando doveva stampare il lavoro da inviare al concorso e la stampante non funziona. Sono molto felice che uno degli alunni della vera storia sia stato anche attore e sceneggiatore: Ahmed Dramé, nel film Malik. Alcuni attori sono stati i veri ragazzi come Ahmed, sono stati eccezionali, soprattutto nella scena girata una sola volta.
Nella mia classe non siamo tutti uniti e anche la nostra professoressa di italiano sta cercando in tutti i modi di far migliorare i rapporti tra di noi, ho sperato inizialmente che migliorasse qualcosa, però noto molti compagni indifferenti, ho perso a speranza, speranza che si è riaccesa dopo aver visto il film.
Anche se la tematica dell’Olocausto era secondaria, ha assunto molta importanza e mi piace come è stata affrontata: in modo leggero, senza scene forti, ma con le parole che non perdevano importanza e che ti facevano vivere quelle esperienze quasi in prima persona.