Gli studenti della classe prima del settore “Cultura e Spettacolo” dell’I.I.S.S. “Mons. A Bello di Molfetta, hanno avuto l’opportunità di conoscere l’attore e regista italiano, Sergio Rubini, affiancato dal Vescovo Domenico Cornacchia, suo docente ai tempi del Liceo.
Sergio Rubini, nato e cresciuto a Grumo Appula, in Puglia, si presenta subito come una persona vera, trasparente, con valori che lo hanno portato ad avere una grande carriera sia da attore che regista. L’incontro comincia subito ed i ragazzi si mostrano curiosi nel voler ascoltare le esperienze dell’attore.
Le prime parole non possono che essere dedicate al suo mestiere, così inizia a raccontare di come sia sconvolgente coniugare due attività diverse come l’attore e regista. Aggiunge che si sente un po’ matto, ma non dà a quell’aggettivo una connotazione negativa, anzi. All’età di 15 anni vuole fare il tastierista Rock, ma una volta scoperta la passione per la recitazione fa i conti con la sua “diversità” perché tale essa era percepita agli inizi degli anni settanta, in un piccolo e anonimo paesino del sud.
Con il sorriso sul volto, l’attore parla ai ragazzi e li incita a credere in se stessi, a smetterla di considerare la diversità qualcosa di negativo e dice loro di andarne invece fieri. Racconta del suo iniziale timore, della paura di non essere adatto a stare sempre sotto i riflettori, e lo fa con un aneddoto, ammettendo che all’inizio della sua carriera aveva pensato di rifare il naso per via di una piccola gobba che ai suoi occhi sembrava essere un difetto troppo scomodo. Un altro difetto, diventato poi suo punto di forza, è la pugliesità. Caratteristica che, racconta, ha rischiato di perdere. Prima di rispondere alle domande degli alunni, lascia loro un importante insegnamento: i sogni sono una chiamata e non bisogna mai soffocare la propria vocazione per paura di essere considerati diversi.
Gli alunni della classe 1^ Cultura e Spettacolo, con l’aiuto di alcuni componenti della redazione del giornalino scolastico “LEGGIMI”, pongono alcune domande:
– Che ruolo ha avuto il dialetto per lei?
L’attore pensa un po’ alle parole da utilizzare, poi comincia a raccontare la sua esperienza. All’inizio della carriera da attore aveva deciso di cambiare i suoi accenti, di renderli meno evidenti, di nasconderli. Una volta riuscitoci però si era accorto di avere sbagliato, perché cambiare l’accento fa irrimediabilmente modificare la propria visione del mondo. Impara diverse cadenze che considera un viaggio da consigliare a tutti: allontanarsi da se stessi per poi tornare con un bagaglio in più, la maturità.
Se potesse fermare i tre fotogrammi più importanti della sua vita, quali sarebbero?
La vocazione, risponde. E racconta: aveva 15 anni e voleva fare il tastierista rock. Un sera, in compagnia del padre e di un suo amico, partecipa ad una recita amatoriale come attore, e lì capisce di sentire qualcosa per la recitazione: è la vocazione.
L’incontro con Fellini. La prima volta che si incontrarono, Fellini stava preparando “La nave va”. Fece un provino, ma il regista gli disse che non avrebbe avuto un ruolo per lui in quel film ma sulla soglia della porta gli promise che un giorno avrebbero lavorato insieme.
Dopo 4 anni fu chiamato a fare il protagonista del suo film, e quando si presentò, gli ricordò di quella frase sul futuro, diventata poi realtà. Per lui Fellini era un mago o un angelo, perché ci sono persone che entrano nella vita degli altri e la stravolgono con un gesto.
Sempre sul grande regista racconta che egli, la mattina molto presto, aveva l’abitudine di chiamare i suoi attori, per commentare insieme il giornale mattutino. A 22 anni, si ritrovò a mettere la sveglia di prima mattina, per poter parlare al telefono con lui. Ricorda che i primi tempi aveva sempre la voce addormentata, e così cominciò a fare degli esercizi per dimostrare in chiamata, che fosse sveglio. Iniziò a considerarlo un maestro solo dopo aver compreso a pieno una cosa: i veri maestri ti danno l’esempio, non ti dicono cosa fare. Se vuoi fare il regista e vuoi dare al mondo la tua visione delle cose, non puoi dormire.
L’incontro con un altro attore esordiente. Racconta che durante un incontro con Fellini, lui ed altri attori esordienti si ritrovarono di fronte ad attori con una lunga carriera alle spalle ed una moltitudine di premi. Nonostante la differenza d’età, di carriera, e di premi egli considerò in entrambi i gruppi la stessa vocazione, lo stesso amore per il proprio mestiere. Da quell’incontro Rubini ha realizzato una cosa molto importante: in ogni grande regista c’è un esordiente, ed in ogni esordiente c’è un regista.
Può darci una dritta su come iniziare?
Gli insuccessi sono la vita, i successi sono qualcosa che si accende momentaneamente nella nostra vita, afferma. La vita è fatta di ricerca, e solo tanti errori portano ad azzeccare un risultato ogni tanto. Avere successo non vuol dire essere ricchi e famosi, perché si può essere comunque seguiti dalla depressione, dall’ansia di non essere all’altezza. Il vero successo nella vita è assomigliare a sé stessi ed essere in pace con ciò che si sente.
L’incontro si conclude con un regalo da parte degli studenti, due ritratti dell’attore realizzati in tempo reale dalle studentesse del settore grafico dell’Istituto.
L’ultimo consiglio del Sig. Rubini riguarda la felicità:
“La felicità sta nelle piccole cose, e spesso non è la nostra. La gioia più grande è riuscire a rendere felice chi abbiamo accanto”.
Grande lezione, signor Rubini. Grazie!!
Elisabetta de Gennaro
Classe II Sez. A servizi per la Sanità e l’Assistenza Sociale