di Elena D’Iglio
“La tempesta che sta travolgendo gli arbitri di Serie A ci rivela qualcosa che va ben oltre il calcio. Da quando è arrivata la Var, e cioè la tecnologia che consente di cambiare una decisione di campo se sbagliata, la classe arbitrale è stata illusa di poter arrivare alla perfezione.” Queste sono state le parole di Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera.
Personalmente, parlando da arbitro di calcio a livello provinciale e quindi automaticamente arbitrando senza la Var, credo che questo strumento debba essere visto come un supporto in situazioni difficili e particolari. Questo perché uno dei maggiori principi che un buon arbitro deve avere è il timing, ovvero la tempestività con cui una scelta deve essere fatta, che può andare dalla decisione di affidare un fallo a quella di scegliere il giusto provvedimento disciplinare per quella determinata situazione. Lo scopo dell’arbitro non è arrivare alla perfezione, ma riuscire ad arbitrare una partita di calcio con il minor numero di errori possibili.
Arbitrare non è affatto semplice, bisogna sempre avere mille occhi aperti e nonostante ciò il rischio di sbagliare è dietro l’angolo. Sbagliare per un arbitro è deleterio, gli occhi di mille persone addosso che insultano, protestano, sono sempre presenti e di certo non sarà la Var a mascherare queste situazioni.
L’arbitro è studio ed allenamento allo stesso tempo, è sacrificio e determinazione, è una passione che va coltivata e perfezionata con il passare degli anni. Non bisogna mollare al primo insulto o temere le proteste: sono fondamentali per crescere ed essere un buon arbitro, non un arbitro perfetto che non esiste e mai esisterà. Per fortuna.