Maria Corbo Esposito I E – Ciò che sappiamo riguardo alla mitologia slava non è molto, in quanto ci troviamo di fronte ad una tradizione che per centinaia di anni, e in alcuni casi fino ai nostri giorni, si è tramandata solamente per via orale e non scritta; le informazioni, dunque, ci pervengono, in moltissimi casi, da fonti scritte indirette o da fonti archeologiche o etnografiche. Una delle testimonianze più importanti ci è fornita dall’idolo di Zbruch, una scultura in pietra che risale al IX secolo d.C., ed è una delle poche testimonianze della cultura slava prima del cristianesimo. I quattro lati del pilastro, ora conservato nel Museo archeologico di Cracovia, sono orientati verso i quattro punti cardinali. Ogni suo lato è diviso in tre livelli: quello più basso rappresenta un’entità che si suppone sorregga la terra; quello medio simboleggia il mondo terreno con gli esseri umani; quello più in alto rappresenta il mondo celeste con gli dei. Questa tripartizione del mondo si ritrova anche nelle fiabe tradizionali russe e in alcuni frammenti del Canto della Schiera di Igor’, un poema epico che risale probabilmente al XII secolo e che rappresenta una delle prime opere letterarie russe. In essi si dice che il cantore Boyan viaggiasse in lungo e in largo per cercare l’albero cosmico (simile all’Yggdrasill germanico) che, con la sua struttura, simboleggia proprio i tre regni del cosmo: il cielo abitato dalle entità celesti, rappresentato dai rami; il mondo sensibile abitato dall’uomo, rappresentato dal tronco; le radici, infine, immagine dell’oltretomba. Bojan sa unire le tre parti diventando scoiattolo sui rami, lupo sulla terra e aquila in cielo. Questo albero, secondo le popolazioni slave, si trovava al centro dell’isola Buyan, che a sua volta si trovava al centro dell’oceano; ai suoi piedi c’erano la pietra Alatyr’ e un serpente, mentre su uno dei rami un uccello. Enumerare tutti gli dei slavi sarebbe un compito arduo in quanto essi sono non solo tantissimi, ma variano di regione in regione, perciò ci limitiamo a citare quelli che costituivano il pantheon tra il X e l’XI secolo d.C., epoca importantissima per la civiltà slava grazie anche alla straordinaria personalità del principe Vladimir che, in carica dal 969 al 1015 d.C., seppe segnare la storia di Russia, Bielorussia, Ucraina e dei territori a loro circostanti: Perun, una sorta di Zeus, dio del cielo e protettore dei militari e dei governanti; Hors, dio del sole; Dzhadbog, dio della luce, che regola il ciclo delle stagioni; Stribog, dio del vento; Semargl, messaggero semidivino; Mokosh, divinità femminile, protettrice della tessitura. Oltre a ciò, nella mitologia slava è presente un ricchissimo bestiario demonologico, che va da spiriti orridi e malvagi ad altri bellissimi e praticamente innocui. Basti pensare all’Alkonost, essere metà uccello e metà fanciulla, che depone le uova in riva al mare e le culla per sette giorni con canti meravigliosi; al Liho, una vecchia con un terzo occhio sulla fronte, che si ciba di uomini e dorme su un letto fatto di ossa umane; i Domovy, spiriti che vivono in ogni casa, nascono vecchissimi e muoiono neonati e che proteggono i propri coinquilini da spiriti maligni. Questo naturalmente è solamente un accenno introduttivo al “meraviglioso” che si nasconde dietro il pantheon mitologico slavo, la cui importanza e particolarità ci riserviamo di approfondire nei prossimi numeri del giornalino.