Nata nel 1970 nella periferia di Londra, Jeni Haynes era una bambina felice. Nel 1974, all’età di soli 4 anni, si trasferì insieme alla sua famiglia in Australia. Una volta arrivata lì, nella nuova casa, la sua vita subì una svolta drastica. Suo padre, Richard Haynes, iniziò ad abusare di lei. Questo abuso caratterizzato da estrema violenza venne portato avanti da Haynes per 7 anni, fino a quando l’uomo andò nuovamente a vivere in Gran Bretagna. Durante questi lunghi 7 anni la bambina rimase in silenzio riguardo alle violenze subite e non cercò mai aiuto. Questo perché suo padre aveva escogitato un modo infallibile per farle mantenere la bocca chiusa, ossia le aveva fatto credere che potesse leggere la sua mente e perciò se avesse parlato con qualcuno, riguardo ciò che le stava accadendo, lui l’avrebbe saputo e come punizione, per avergli disobbedito, avrebbe ucciso suo fratello e sua madre. In seguito ridusse altresì le sue attività extra scolastiche e sociali al minimo, impedendole così ulteriormente la sua possibilità di confidarsi. Quanto il tutto ebbe inizio Jeni aveva solamente 4 anni. Una bambina di quell’età non può fuggire e non è nemmeno cosciente di quella opportunità. Perciò, fu proprio la sua mente a mettere in moto una strategia, una tecnica di sopravvivenza complessa che consiste nel creare uno o più alter ego che si incarichino di gestire gli aspetti più insopportabili dell’evento traumatico alla quale viene sottoposta. L’incubo di Jeni era talmente spaventoso che non sarebbero bastati un paio di alter ego per affrontarlo. Dalla creazione di Symphony, la personalità di una bimba di 4 anni, la stessa età che aveva Jeni quando la fece emergere nella sua mente, a quelle di altre alter ego come Muscle, Volcan, Ricky, Jeni arrivò a costruire dentro di sé ben 2500 personalità differenti, ognuna creata per poter gestire e attenuare, nel limite del possibile, le conseguenze dello shock emotivo provocato dalla terribile esperienza causata dal diabolico genitore e vissuta da lei durante l’infanzia. Jeni cercò di superare il suo dramma attraverso il disturbo dissociativo dell’identità, un tipo di disturbo, appunto, caratterizzato dalla presenza in un individuo di almeno due personalità diverse che si alternano tra loro. La causa dello sviluppo di questi Alter Ego è di solito un grave trauma infantile, che costringe la persona che lo vive a creare dei soggetti differenti da sé che possano aiutare ad affrontare il dolore che il trauma ha provocato in loro. In generale, non esiste un numero massimo di identità alternative che il paziente può arrivare a creare, ma il caso di Jeni Haynes è davvero eccezionale. Le 2500 personalità alternative che Jeni creò nella sua mente non ebbero solo il compito di mantenerla in vita, ma anche quella di aiutarla a portare a termine un incarico difficilissimo che per molto tempo sembrò più che altro un ideale irraggiungibile: quello di ottenere giustizia. La condizione medica di Jeni non la rendeva di certo un soggetto degno di fiducia. Le prime volte che menzionò l’incubo che dovette affrontare da bambina agli psicoterapeuti a cui aveva richiesto aiuto si ritrovò di fronte ad una cruda realtà. Nessuno le credeva e nella maggior parte dei casi la sua richiesta di soccorso veniva ignorata perché basata su una versione dei fatti che veniva ritenuta poco credibile o così traumatica che neppure gli stessi psicoterapeuti si sentivano in grado di affrontare. Quando fu evidente che nessuno l’avrebbe presa sul serio, se non avesse messo in atto una strategia per aumentare la sua credibilità, decise di iniziare a studiare. Ci vollero una laurea in psicologia e una in giurisprudenza, un master in filosofia, un dottorato in studi giuridici prima di essere ascoltata davvero. Nel 2009, quando prese la decisione di denunciare l’accaduto alle autorità competenti, lo fece con un rapporto in forma scritta composto da numerosissime pagine in cui riportò ogni piccolo dettaglio dell’orrore a cui suo padre la condannò per ben 7 anni. In quell’occasione ebbe la fortuna di conoscere un agente di polizia che le credette fin dall’inizio, ma il cammino per portare suo padre di fronte alla giustizia non fu certo semplice. Il problema principale di Jeni era non poter rilasciare la sua deposizione in tribunale in prima persona, doveva farlo attraverso le sue personalità alternative affinché la sua testimonianza fosse ritenuta valida. Perciò dovette ottenere l’autorizzazione del tribunale di poter rilasciare la sua dolorosa testimonianza attraverso Symphony o attraverso la dichiarazione di altre personalità che abitavano la sua mente e che, a detta sua, avevano assistito in prima persona alle violenze subite in famiglia. Nel 2017 Richard Haynes venne estradato dalla Gran Bretagna dove stava vivendo. Ci vollero 10 anni per ottenere questo permesso speciale da parte del tribunale, e solo nel 2019 il processo ebbe inizio. La prima personalità alternativa che la mente di Jeni elaborò fu quella di Symphony. Il suo scopo principale era quello di sostituirsi a Jeni come vittima della violenza, ma vi erano altri Alter Ego che emergevano per prendersi cura di lei sotto altri punti di vista. Tuttavia ce ne furono 6 che, a detta sua, l’aiutarono più degli altri a sopravvivere, ed emersero spesso nel periodo più delicato della sua battaglia affinché fosse fatta giustizia. La prima fu quella di Muscle, un’adolescente il cui stile assomigliava a quello del musicista britannico Billy Idol. Era descritto come un giovane alto e abituato ad usare magliette che evidenziavano i forti muscoli delle sue braccia, come un ragazzo tranquillo, un protettore. Durante il processo fu quello che emerse per apportare le prove della violenza subita da Jeni. Un altro importante Alter Ego fu Volcano, un ragazzo alto e forte, vestito con abiti di pelle nera dalla testa ai piedi anche lui un punto di riferimento importante per Jeni, perché era l’Alter Ego che la proteggeva in situazioni potenzialmente pericolose quando si trovava a contatto con la società. Altre personalità che giocarono un ruolo importante durante il processo e aiutarono la protagonista a superare le conseguenze più gravi del trauma furono Ricky, un bambino di 8 anni che nonostante la sua giovanissima età indossava sempre un completo grigio, Judas, l’Alter Ego che indossava pantaloni grigi e una giacca verde brillante, Linda, una donna alta e magra che indossava sempre una gonna anni 50, e Rick, un uomo con degli occhiali enormi, molto simili a quelli che usava suo padre Richard. Chi più, chi meno, queste personalità furono fondamentali nella raccolta di tutte le informazioni da presentare come denuncia alla polizia. Tutte poi emersero in un determinato momento della deposizione per dire la loro, confermare o smentire le informazioni date. Se non fosse stato per loro Jeni non sarebbe mai riuscita a farsi prendere sul serio nel momento in cui presentò la sua denuncia contro il padre e soprattutto non sarebbe mai stata in grado di affrontare un processo seduta a pochi metri dal suo violentatore. Nel marzo del 2019 ebbe finalmente inizio il processo contro Richard Haynes e le accuse nei suoi confronti erano così terribili che si decise di non contare sulla presenza di una giuria popolare in aula. La deposizione di Jeni fu, senza dubbio, il momento più insolito ed intrigante del processo. La personalità alternativa incaricata di iniziare la sua deposizione fu Symphony, il secondo Alter Ego ad emergere fu Muscle. Il suo ruolo fu quello di attaccare il padre e di metterlo alle strette, in modo che si sentisse obbligato a confessare. La terza personalità ad emergere fu Linda, incaricata di riportare al giudice l’enorme difficoltà che Jeni doveva affrontare, anche in ambito lavorativo, a causa della patologia di cui soffriva. Si susseguirono altri 27 Alter Ego, tutti con un’informazione chiave da rilasciare. Il 6 settembre 2019 Jeni si sedette a pochi metri dal padre in tribunale per assistere alla sua condanna a 45 anni di reclusione. Haynes, che soffre di problemi di salute, dovrà scontare almeno 33 anni di reclusione prima di poter ottenere la libertà collezionata ma, per via della sua età, il giudice ha affermato che probabilmente morirà in carcere concludendo così la sentenza: “I suoi crimini sono stati profondamente inquietanti e perversi e assolutamente ripugnanti. La sentenza applicabile non può riflettere la gravita del danno causato.”