//“Il mio corpo è stato prigioniero, ma la mente no!”. Liliana Segre parla ai giovani di tutta Italia.

“Il mio corpo è stato prigioniero, ma la mente no!”. Liliana Segre parla ai giovani di tutta Italia.

di | 2020-02-17T19:25:16+01:00 17-2-2020 15:08|Alboscuole|0 Commenti

 

Nel suo discorso  presso  il  Teatro  Degli  Arcimboldi  di  Milano,  pronunciato  giorno 20  gennaio in occasione del Giorno Della Memoria, la  senatrice  a  vita  Liliana  Segre  si  rivolge a tutti  noi  ragazzi. Ci parla  come  una  nonna  parlerebbe  ai  suoi  nipoti  e ci racconta della sua vita e degli anni terribili trascorsi  durante  la  seconda  guerra  mondiale.  Quando era bambina, a causa delle leggi razziali del 1938,  poiché  apparteneva  a  una  famiglia  ebrea, improvvisamente  non  ebbe  più  la  possibilità di frequentare la scuola. Successivamente, le cose si complicarono ulteriormente. Lei viveva a Milano, ma visto che  i  soldati  avevano  iniziato   a  deportare  gli  ebrei  nei  campi  di concentramento, si dovette nascondere in casa di amici, mentre il padre cercava una sistemazione per i nonni. Successivamente il padre la riprese con sé e insieme andarono in  Svizzera,  incamminandosi  attraverso  le Alpi.  Vennero però scoperti e rimandati in Italia dove furono spostati da un carcere all’altro. Lei aveva tra i dodici e i tredici anni, ma già aveva assunto un comportamento materno nei confronti del padre che, disperato, mostrava  in  quell’occasione  alla  figlia  tutta  la  sua   fragilità.  Infine, furono portati in treno fino ad Auschwitz.  Arrivati  al  campo  di  concentramento  furono  divisi,  gli  uomini da una parte e le donne dall’altra. Fu allora che Liliana Segre vide suo padre per l’ultima volta.   Liliana non si riconosceva più perché lì alle donne venivano rasati i capelli.  Piangeva,  soffriva,  ma  col  tempo cominciò a diventare fredda, non pianse più, ciò che era passato era passato, non guardava più indietro pur di sopravvivere. Lavorava molto e, per la sua giovane età, caricava sulle spalle pesi enormi, che trasportava dal campo all’officina dove lavorava. Periodicamente era costretta a spogliarsi con le altre in una stanza dove un medico crudele vedeva se i loro corpi erano in buone condizioni, in caso contrario venivano uccise. Di sera  mangiavano  solo  un  pezzo di pane con un po’ di marmellata. Dopo un anno e mezzo, all’età di quattordici  anni,  con  l’arrivo  dei  Russi  si salvò.  Racconta che, dopo tanto tempo, poté finalmente rivedere le foglie verdi e le venne voglia di iniziare a vivere di nuovo.  Questa storia ci ha colpito molto. Non ci aspettavamo che le persone potessero essere così indifferenti verso la sofferenza. Lo troviamo ingiusto perché tutti siamo uguali. Del suo discorso ci ha impressionato molto la sua voglia di andare avanti in ogni attimo della sua vita, nonostante tutte le avversità affrontate, e questo ci ha fatto capire che non dobbiamo  mai  perdere  il nostro  desiderio di vivere.  Ci  siamo  rattristate  quando abbiamo saputo che Liliana non aveva più rivisto suo padre una volta  arrivati  ad  Auschwitz.  Dalle sue parole abbiamo capito che non dovrebbero  mai  accadere  episodi di razzismo e che tutti dobbiamo avere gli stessi diritti e doveri. Soprattutto rimarranno impresse nella nostra memoria due frasi pronunciate da Liliana, piene di speranza per noi giovani:

“Noi donne siamo fortissime!”

“Il mio corpo è stato prigioniero, ma la mente no!”.

Karola Santoro e Alice Sutera, classe IN