Sconosciuta ai partigiani
Molto popolare è stata la “Leggenda del Piave”; possiamo addirittura chiamarla icona della grande guerra: fu scritta nel 1918 quando la strage “inutile” era già finita o stava per finire: ebbe però la sua meritata consacrazione popolare nel 1921 quando fu traslata a Roma la salma del Milite Ignoto.
Né fu coniata dal fascismo la famosa “Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza”. Essa è stata composta nel 1909 ed era un canto goliardico. Riadattata nelle parole diventò l’inno ufficiale fascista: gli autori non l’avrebbero mai pensato!
Il fascismo si appropriò di quell’inno perché si addiceva al suo conclamato giovanilismo, come pure saccheggiò dal corpo militare degli arditi, reparti speciali dell’esercito, la camicia nera, le mostrine e il fez neri, il pugnale e persino il motto di un Savoia che con la sua forza tenne l’isola di Rodi contro i Turchi. Il motto era “FERT”, Fortitudo, Eius Rodum Tenuit. Veniamo a “Bella ciao”. I partigiani certamente non la cantavano perché nemmeno la conoscevano. Durante la seconda guerra mondiale la canzone che andò molto di moda fu “Lilì Maelén”: la cantavano sia i tedeschi sia gli alleati. “Bella ciao” era in origine un canto bambinesco, tanto che parlava di una “vecchierella” che ordinava ai nipoti di andare a prendere acqua da una “fontanella”. Quella nenia, evidentemente, non parlava affatto di “invasor”, ma i comunisti italiani al Festival di Berillo nel 1948 cambiarono le parole e dettero vita alla fortunatissima “Bella ciao” che fu adottata persino dal Coro dell’Armata rossa. Da allora essa è diventata la canzone della resistenza.