STORIE DI PRIGIONI,PRIGIONIERI E ALTRE PRIGIONIE
“Prigionia” è una parola che in questi giorni di quarantena si è materializzata molte volte perlomeno nei nostri pensieri. Chi di noi in questi quasi tre mesi di chiusura a casa non ha pensato almeno una volta di essere prigioniero nelle mura domestiche. Per limitare il contagio di questo spaventoso virus abbiamo rinunciato tutti alle nostre libertà più preziose: uscire, circolare, vedere e abbracciare le persone a noi più care. Queste restrizioni sono state dolorose e faticose per tutti ma soprattutto per i bambini e per noi ragazzi. Solo da pochi giorni queste limitazioni si sono allentate: adesso si può uscire con la mascherina ma senza creare assembramenti per strada. Stiamo capendo quanto queste piccole libertà che ci sono state concesse, in primis quella di vedere le persone a noi più care, siano la cosa più preziosa della nostra vita. Solo il fine superiore della salute pubblica poteva permettere un sacrificio tanto grande.
Siamo abituati a pensare alle prigioni come luoghi fisici di reclusione per scontare pene o perché c’è qualcuno che tiene recluso qualcun’ altro con la forza e con la minaccia.
Questa è sicuramente una prigionia durissima perché limita la libertà di movimento ma è anche la forma di reclusione meno diffusa. Esiste, infatti, un tipo di prigionia più diffusa e meno visibile agli occhi degli altri che è quella mentale. La libertà di pensiero oltre che di movimento è un diritto costituzionalmente tutelato che dovrebbe appartenere a tutti gli uomini di qualsiasi ambito.
La prigionia psicologica che limita la libera espressione del pensiero e del proprio modo di essere può dipendere da persone o fattori esterni o anche da propri limiti o stati d’animo .
La censura è sicuramente la fonte principale di limitazione del libero pensiero e di libera espressione della propria personalità. Questa può avvenire per mezzo della stampa o di altri mezzi di comunicazione di massa ma può anche colpire l’espressione dei singoli. Spesso la censura è preventiva e può essere ottenuta per mezzo della forza, della minaccia, del ricatto, della corruzione. Ma questa può anche essere ottenuta mediante forme di disturbo o di “ lavaggi psicologici”. La censura ha spesso carattere politico; cioè è fatto divieto di trattare argomenti non graditi al potere esecutivo. Sono i regimi totalitari a farne massimo uso per impedire azioni sovversive del popolo. I regimi totalitari fascisti e comunisti del XX secolo hanno applicato un controllo sistematico della comunicazione limitando l’espressione, il pensiero, la parola, la stampa.
Parallelamente al controllo sui mezzi di comunicazione di massa vi era la propaganda: tv, giornali, riviste esaltavano gli atti compiuti dal regime. I partiti politici contrari al dittatore venivano sciolti e gli avversari politici addirittura soppressi fisicamente. Avvicinandoci ai tempi nostri non si può non ricordare quanto avvenuto in Cile negli anni ‘70. Chiunque si opponesse al regime veniva rinchiuso, torturato e ucciso.
Fortunatamente oggi queste forme di potere totalitario esistono ancora in pochissimi paesi. La maggior parte degli Stati infatti adotta un governo di tipo democratico in cui tutti i cittadini possono esprimere liberamente il proprio pensiero. La lezione dei regimi totalitari ha dunque creato un mondo migliore basato sul rispetto degli altri anche se sussistono ancora nel mondo paesi dove queste libertà non sono garantite. Non sono solo i governi a manipolare le menti e le coscienze degli uomini. Lo è stato in passato anche la Chiesa, rea di aver per secoli impedito lo sviluppo del pensiero scientifico e morale dell’umanità. La Sacra Inquisizione Romana istituita nel 1542 applicava una censura preventiva sulla stampa al punto tale che fu istituito l’Indice Romano dei libri proibiti con il quale si voleva combattere l’eresia e i saperi profani. Come non ricordare a tal proposito il processo a Galileo Galilei nel 1633. Solo l’avvento delle idee illuministiche
nate in Inghilterra e sviluppatesi in Francia permisero un grande passo avanti in questo senso. La fiducia nelle capacità dell’uomo, la fine dell’oscurantismo religioso medievale e le idee rivoluzionarie di Voltaire diedero impulso ai moti rivoluzionari del ‘700 che hanno dato vita a Dichiarazione dei Diritti dell’uomo (francese e americana) che hanno fatto da modello per le grandi democrazie europee e non solo. La censura soprattutto politica è come abbiamo detto un tremendo strumento di limitazione delle proprie idee al punto tale da far vivere all’individuo una “prigionia” senza catene ma ugualmente frustrante a livello psicologico. Esprimere le proprie opinioni è fonte di libertà perché permette di esprimere se stessi.
Purtroppo però esistono censure che fanno meno clamore di quelle imposte dai governi: sono le censure e le violenze psicologiche che avvengono dentro le mura domestiche molto spesso accompagnate da violenze fisiche olte che psicologiche. Anche in questo caso non parlo di una prigionia del corpo quanto della mente. Sono le donne ad essere le vittime più diffuse di questo tipo di violenza; una violenza che imprigiona le loro anime vittime di culture arretrate o di uomini deboli . Se pensiamo al mondo islamico, sappiamo che in alcuni paesi dove vi è integralismo religioso, le donne non vivono una situazione egualitaria in termini di libertà e sono considerate ad un livello inferiore rispetto all’uomo. In queste realtà alle donne non è concesso il diritto di voto, possono essere ripudiate dal marito e non hanno diritto in ambito familiare. Tutto questo non dovrebbe avvenire nel mondo occidentale dove i governi sono democratici e non integralisti, eppure la violenza non solo fisica tra le mura domestiche è un dato in costante aumento anche nella nostra civilissima nazione. “Femminicidio” è oramai una parola entrata nel nostro linguaggio comune che in maniera specifica indica l’uccisione di una donna ma in maniera più generica indica “ qualsiasi forma di violenza (dunque non solo fisica) esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico”. La definizione del dizionario è dunque chiarissima. L’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e della prevenzione del crimine conta ogni anno nel mondo l’uccisione di 87.000 donne. Anche a livello europeo la questione è diventata di primaria importanza. Trentadue paesi hanno infatti firmato una Convenzione nella quale ci si impegna a perseguire penalmente e duramente i crimini contro le donne, Nel 2017 qui in Italia è stata istituita in Senato una Commissione di inchiesta parlamentare per analizzare il fenomeno. Il termine “femminicidio” non esaurisce il suo significato nell’atto finale di uccisione di una donna, perché identifica un fenomeno che include una molteciplità di condotte quali la violenza psicologica, educativa, economica perpetrate da uomini in ambito soprattutto familiare. Sono comportamenti che minano la libertà, la dignità, l’integrità di una donna provocando gravi forme di sofferenza. “Femminicidio” è tutto ciò che indica un odio verso l’universo femminile proprio perché è tale. Le violenze domestiche riguardano tutte le classi socio- culturali ed economiche senza distinzioni di età, religione o razza. Gli uomini che usano violenza sulle donne vogliono sottomettere, umiliare piegare dentro mille forme di paura violentandole psicologicamente. Purtroppo l’età media di vittime e carnefici si sta abbassando; segno questo che sin da giovanissimi gli uomini vivono il rapporto con le donne in modo conflittuale. Bisogna sensibilizzare le donne a reagire, denunciare, non lasciarsi schiacciare, ma bisogna anche sensibilizzare gli uomini a saper gestire rabbia e impulsi e a non considerare un fallimento il rifiuto o il successo di una donna.
Fino ad adesso abbiamo esaminato “prigionie psicologiche” imposte da soggetti o situazioni esterne ma spesso siamo noi la nostra stessa prigione e fatichiamo a liberarci. Questo può accadere ad ognuno di noi in momenti di fragilità.
Può capitare di pretendere troppo da se stessi senza accettare i propri limiti ma può anche capitare di non sfruttare il proprio potenziale costringendoci in una prigione della quale noi stessi abbiamo le chiavi. Tutto questo è tipico dell’età che sto vivendo, l’adolescenza. Abbiamo paura di prendere decisioni, paura di
fallire, di non essere abbastanza bravi, di intraprendere cammini errati, di essere giudicati e tutto questo ci frena. Questi stati d’animo ci fanno sentire inadeguati e cerchiamo rifugio nelle amicizie facendo di tutto per essere accettati dal gruppo e rifiutiamo invece i consigli dei nostri genitori che ci vogliono bene e che invece contestiamo. In questa fase persino il nostro corpo in trasformazione ci appare come una prigione che non accettiamo e disprezziamo.
Dovremmo cercare di trasformare le paure in curiosità così da utilizzare le chiavi per uscire dalla prigione guidarti dagli adulti in grado di incoraggiarci e indirizzarci.