di Giusy Casillo- “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana”. Queste le
parole di Giovanni Falcone, il magistrato di origine siciliana che non si è mai sentito un
eroe, ma solo un uomo dello Stato chiamato a fare il proprio dovere. Falcone ha dedicato
la sua vita alla lotta contro la mafia, è stato tra i primi a comprendere la struttura
verticistica di Cosa nostra e a capire l’importanza della cooperazione giudiziaria
internazionale quando realizzò che la mafia si apprestava a varcare i confini italiani. Ha
creato un metodo investigativo diventato modello in tutto il mondo: l’attenta ricerca delle
prove, le indagini patrimoniali e bancarie e il lavoro di squadra, sono stati, infatti, gli
strumenti grazie ai quali, insieme al pool antimafia, ha istruito il primo maxiprocesso a
Cosa nostra. Dopo anni di assoluzioni per insufficienza di prove, lo straordinario impegno
di un gruppo di magistrati guidati da Falcone, portò alla sbarra 475 tra boss e gregari di
Cosa nostra e si concluse con 19 ergastoli e condanne a 2665 anni di carcere. Ma la
mafia non lo perdonò: il 23 maggio 1992, Giovanni Falcone e la moglie Francesca
Morvillo, di ritorno da Roma, atterrarono a Palermo con un aereo dei servizi segreti dove
erano attesi dalla scorta divisa in tre auto blindate. Dopo aver imboccato l’autostrada,
all’altezza dello svincolo di Capaci, un’esplosione distrusse il corteo di auto e uccise il
magistrato, la moglie e gli agenti della scorta: Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito
Schifani. Ai funerali delle vittime, che si svolsero due giorni dopo a Palermo, vi partecipò
l’intera città insieme a colleghi, familiari e alti rappresentanti del mondo politico. Le parole
e il pianto straziante di Rosaria Costa, la vedova Schifani, sono ancora oggi impressi nella
memoria di tanti. Quella donna di appena 22 anni, alla quale avevano strappato il marito
poliziotto e che era rimasta sola con un bambino di quattro mesi, voleva perdonare i
colpevoli con un discorso di speranza, ma al momento di farlo, non ci riuscì e finì per
aggiungere al discorso, dure parole di ribellione: “ Io vi perdono, però dovete mettervi in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare. Ma loro non cambiano, loro non vogliono
cambiare…”
Oggi, con l’esempio e la morte di Giovanni Falcone, è cresciuta e si è consolidata una
coscienza anti-mafiosa ma, affinché questa sopravviva, è necessario che noi giovani
portiamo avanti la lezione di legalità che il magistrato ci ha lasciato, poiché, come lui
stesso affermava: “Gli uomini passano, le idee restano… e continueranno a camminare
sulle gambe di altri uomini”.