//Gli anziani nella cultura romana

Gli anziani nella cultura romana

di | 2020-04-22T22:17:00+02:00 22-4-2020 22:15|Alboscuole|0 Commenti
di Maria Grazia Aulicino – 1^C –
L’anziano ha avuto ruoli diversi nella storia. Delle volte è stato al centro della famiglia e a livello sociale, altre invece ha assunto un ruolo secondario, talvolta è stato anche messo da parte per questioni economiche, poiché ritenuto improduttivo. L’ingresso all’età anziana è mutato, nell’antichità una persona entrava nella senilità dai trent’anni, invece, oggi si attesta a partire dai sessant’anni.
Nelle società primitive non vi erano distinzioni in base agli anni che un individuo aveva, bensì erano divise in due fasi: la comparsa nel mondo del lavoro e la sopraggiunta morte. In Oriente si cercava di utilizzare dei rimedi magici e delle droghe nella speranza di prolungare la vita. Ad Atene la condizione psico-fisica degli anziani era inaccettabile, infatti si tendeva a eliminarli perché si distaccavano dagli ideali di bellezza e perfezione; a Sparta era tutto diverso il vecchio occupava un ruolo privilegiato. Aristotele e Platone erano in contrapposizione su questo tema; il primo pensava che la mente e il corpo fossero uniti e indivisibili, era dell’idea che se il fisico decadesse anche l’intelletto subirebbe le stesse conseguenze; il secondo filosofo sosteneva che solo gli uomini anziani erano in grado di governare poiché riteneva che la saggezza e le virtù fossero nell’anima e il corpo non era altro che pura apparenza.
Cicerone riteneva che oltre all’attività intellettuale una persona senile potesse dedicarsi ad altri impieghi tra cui la cura di un podere. Alcuni aristocratici e borghesi adottarono questo stile di vita affinché concludessero l’esistenza terrena nel modo migliore. Seneca pensava che nel momento in cui un uomo avesse una vita non degna di essere vissuta per le difficoltà e per le sofferenze da affrontare, dovrebbe finire anche arrivando al suicidio. La famiglia romana era composta dal padre, dalla madre, dai figli con le proprie mogli, dai nipoti.
Il pater familias era il maschio più anziano e aveva il potere nelle sue mani. Egli possedeva la piena capacità giuridica, disponeva l’intero patrimonio familiare e qualsiasi atto rilevante le proprietà, per esempio dava la sua autorizzazione per la compravendita di un terreno ed era egli stesso a comprarlo. Il potere giudiziario era detenuto dal padre di famiglia che poteva emettere delle sentenze, anche capitali, contro tutti i membri i quali avrebbero commesso un reato. Quando nasceva un bambino poteva scegliere se tenerlo oppure abbandonarlo e lasciarlo morire; inoltre poteva diseredare in maniera autonoma i figli.
Alla sua morte la famiglia si scomponeva in tanti nuclei familiari quanti erano i diretti discendenti. Da un punto di vista giuridico il passaggio da ragazzo a uomo romano avveniva per mezzo della morte del proprio padre. In alcune civiltà gli anziani godevano di molta considerazione, perché avevano una virtù che li caratterizzava: la saggezza, che poteva nascere dall’esperienza e dal sapere. Essa era considerata necessaria per guidare lo Stato evitando le decisioni affrettate.
Secondo la tradizione Romolo quando istituì il Senato, volle ammettere i “padri”: i rappresentanti più anziani delle gentes romane. Nel II secolo a.C.  l’anziano a Roma svolgeva una funzione centrale, i vegliardi avevano il potere nelle loro mani  e potevano ambire alle cariche pubbliche più alte. Durante l’età repubblicana le regole istituzionali di Roma tenevano conto dell’anzianità e dell’esperienza, infatti il cursus honorum prevedeva che si potesse fare parte del consolato a partire dai quarantadue anni. I Romani non ebbero timore di affidare a uomini maturi incarichi di carattere militare, infatti durante le guerre contro Cartagine Quinto Fabio Massimo fu scelto come dittatore e all’epoca aveva cinquantotto anni.  Plutarco ci fa ricordare che la sua età era una garanzia, infatti lo storico pensava che quella anzianità gli permettesse di fare in modo che la forza fisica fosse capace di eseguire le decisioni del cervello, e l’audacia fosse temperata dalla cautela. Nell’arte compaiono molti ritratti di romani anziani in atteggiamento dignitoso e nobile. Lentamente il potere della potestà svanì e la condizione dell’uomo senile peggiorò divenendo impotente e perdendo il ruolo centrale a livello sociale e politico.
A Roma vi era un’ambivalenza nella considerazione della vecchiaia, tutto ciò era legato al differente processo che poteva avvenire per mezzo dell’invecchiamento del corpo e dello spirito.  L’età non determina chi siamo o cosa siamo in grado di fare, una frase celebre di Wolfgang Amadeus Mozart dice: “ Pensano che, essendo piccolo e giovane, da me non possa venire niente di grande”, lui è stato uno tra i più grandi musicisti di tutti i tempi;  Henry Ford con un suo celebre aforisma afferma: “ Chiunque smetta di imparare è vecchio, che abbia venti od ottant’anni. Chiunque continua ad imparare resta giovane. La più grande cosa nella vita è mantenere la mente giovane”, mettendo in luce un aspetto sottovalutato dell’anzianità : non dipende dall’età.
Non si può dire a una persona di non fare una cosa perché è troppo anziana o troppo giovane, né affermare che non si possono imparare cose nuove perché è troppo tardi o il contrario. Gli anziani dovrebbero essere trattati nello stesso modo delle altre persone;  è grazie a loro se siamo quelli che siamo.
Hanno scritto la storia non solo combattendo delle guerre o essendo delle persone famose, ma ogni loro azione ci ha portato ad oggi  compresi i loro errori. I giovani dovrebbero imparare dalle persone senili e viceversa traendo delle lezioni di vita e nuove conoscenze. Nonostante un individuo sia anziano, e non abbia più la forza fisica per difendersi, non si dovrebbe né discriminare né abbandonare, in quanto persona umana ha gli stessi diritti e la stessa dignità di chiunque indipendentemente dal genere, dal colore della pelle, dalla razza o dell’età.