//Dimenticare non vuol dire cancellare, ma ricordare senza soffrire

Dimenticare non vuol dire cancellare, ma ricordare senza soffrire

di | 2020-02-27T22:18:15+01:00 27-2-2020 22:18|Alboscuole|0 Commenti
Di Simona Gregorini e Alice Angeli Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime della Shoah. Si è stabilito di celebrarlo in quel giorno perché nel 1945, in quella data, le truppe dell’Armata Rossa aprirono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz. L’Italia ricorda le vittime del Genocidio, le leggi razziali e coloro che hanno messo a rischio la propria vita per proteggere i perseguitati ebrei. Tra questi possiamo trovare Alberto Dalla Volta, un ragazzo nato a Mantova il 21 dicembre 1922 da una famiglia ebrea benestante e trasferitosi nel 1936 a Brescia. È stato vittima della Shoah e compagno di prigionia di Primo Levi, che lo considerò come il suo migliore amico. Alberto riuscì a terminare gli studi, nonostante le leggi razziali, grazie ad un accordo preso con la scuola che lo accolse di nascosto.  Il 30 novembre 1943 fu emanata l’ordinanza della polizia, la quale imponeva che tutti gli ebrei dovessero essere deportati in campi di concentramento e che i loro beni dovessero essere sequestrati.  Il 1° dicembre 1943 Alberto venne portato in un campo di lavoro forzato al posto del padre, troppo anziano.  Alberto e suo padre vennero trasferiti nel campo di Fossoli nel febbraio del 1944, dove incontrarono Primo Levi; la madre e il fratello riuscirono a scappare.  Successivamente, nel campo di Lavoro di Auschwitz, ad Alberto venne assegnato il numero di matricola 174488.  Primo Levi e Alberto nel Lager compirono azioni che in precedenza avrebbero ritenuto inaccettabili, come rubare dei cilindretti in ferro per poterli rivendere, al fine di procurarsi cibo in più. Questi comportamenti erano autorizzati da una situazione di sporcizia, fame, denutrizione, malattie e mancanza di dignitosa umanità.  Il 18 gennaio del 1945 le SS decisero di evacuare il campo di Auschwitz, di fronte all’avanzata dell’Armata Rossa. Alberto Dalla Volta con altri venti mila prigionieri, partì per la ‘marcia della morte’, nella quale i tedeschi uccidevano coloro che non erano in grado di proseguire; Alberto era tra questi, infatti morì nel 1945.  A differenza sua, Primo Levi riuscì a sopravvivere grazie ad una malattia, la scarlattina, che gli salvò la vita.  Levi tornato in Italia cercò il suo amico, ma non lo trovò; decise dunque di raggiungere la famiglia Dalla Volta per informarli della scomparsa del suo amato amico. Primo Levi definì Alberto “un buco nel tessuto rigido del lager” per sottolineare come egli, perseguendo i suoi ideali e non sottomettendosi mai interiormente alla legge del lager, fosse in grado di far saltare il sistema.  Alberto non era superbo, ma era dotato di grande forza d’animo e sapeva usare la propria astuzia senza nuocere al prossimo. Levi, infatti, prese Alberto Dalla Volta come modello e fonte d’ispirazione, imitandolo per il suo coraggio, la sua razionalità, la sua dignità e la sua integrità e sostenne, infine, di essere stato salvato, dal punto di vista morale, proprio dall’amico.