//Diario di bordo: giorno 40

Diario di bordo: giorno 40

di | 2020-04-18T10:58:06+02:00 18-4-2020 10:58|Alboscuole|0 Commenti
di Sara Di Benedetto – È proprio vero! Non ti accorgi di quanto qualcosa sia bello finché non ti manca. Guardiamo le nostre città – addormentate e silenziose – dalle nostre finestre. Oltre non si può andare. Ce l’hanno chiesto. Hanno detto che non dobbiamo toccarci. Questo silenzio che protegge le nostre strade e la vita che grida dai balconi. C’è chi è fermo, ma si muove perché non riesce a ridurre la propria velocità d’urto neanche in “reclusione forzata”. Chi dà tutto senza chiedere nulla in cambio, chi stringe i denti sotto la mascherina, chi dà una mano nonostante i guanti, è stremato, ma ci dona la forza per sperare, è stanco, ma non ci pensa neanche un attimo a mollare, chi ha paura, ma ha quel sorriso che risveglia il coraggio e dà senso ad ogni fatica, chi è lontano ma, superando le distanze, ci resta vicino, resta vicino ad un Paese spaesato, che non smette mai di ricordarci chi siamo, ma che resiste. Ancora una volta. Noi italiani siamo gente strana: da sempre innamorati delle contraddizioni. Viviamo nel Paese più bello del mondo e facciamo finta di non saperlo. Ed ora che lo possiamo ammirare solo dalla finestra, ci sembra ancora più bello. Tutta questa bellezza inavvertitamente ci sfiora, e non può fare altro che mancarci. Ma non demordiamo. Rassicuriamoci! Quando tutto questo avrà finalmente trovato la sua fine, torneremo più irruenti di prima. Correremo a riempire quelle piazze deserte – che ora guardiamo con occhi quasi sognanti. E i monumenti che tutto il mondo ci invidia, brulicheranno di visitatori. Avremo di nuovo lo sfondo perfetto per le nostre foto, quelle con cui – se escono bene – tappezziamo tutti i social possibili e immaginabili. Nulla è cambiato: fuori dalla finestra resta sempre il Paese più bello del mondo. Tanti elementi eterogenei, armonizzati, che, insieme, sono ARTE. È come se migliaia di anni fa, una di quelle divinità greche – di cui non ricordiamo mai il nome – avesse lanciato un prisma sulla Terra e questo si fosse dispiegato in tutte le bellezze della nostra cara Italia. La stessa natura è un’opera d’arte che si è prestata alla mano agile di un pittore. La natura è già arte per sé, ma l’uomo l’ha sovrapposta alla sua opera. Anche l’arte è paesaggio. Ovunque. Il nostro paesaggio è uno dei più belli, così tanto che gli stessi artisti non hanno potuto fare a meno di rappresentarlo nelle loro opere e di risiedervi tra le sue campagne e i suoi borghi. Siamo stati capaci di dare un nome a tutto. Abbiamo pensato al nostro evento storico preferito, al mito che da piccoli sapevamo a memoria e lo abbiamo assegnato al nostro paesaggio del cuore. Così, anche il più piccolo scorcio di terra è da noi conosciuto, ancora prima di vederlo. Noi italiani siamo belli così: imbevuti di cultura e di fantasia. Se avessimo potuto produrle entrambe, avremmo monopolizzato il mondo. Ma noi non siamo così. Siamo attori in questo grande teatro. Ma se balleremo tutti sotto le note della stessa canzone, ci sembrerà di essere tutti più vicini. Come un lungo telefono senza fili. Ma i fili sono arterie che attraversano tutte le nostre città. Perché la città siamo noi. Uniti dalla stessa paura e dalla stessa musica. A volte è dura, ma proviamo a pensare a come sarà bello dopo. Abbracciarsi fuori dai bar, stare in dieci su una panchina. Stretti, ma nuovi. Nulla tornerà più come prima e tutto avrà il sapere della perdita. Sì, di quello che abbiamo pensato di perdere – che qualcuno ha perso per sempre – ma che è ancora lì. Vivo. Ora dormi Italia.