Dopo aver letto il libro “Sotto la Stella di Dante” di Stefano Verziaggi, abbiamo immaginato un’intervista impossibile al Sommo Poeta a Verona nel 1318.
Dante trascorse nella città veneta, famosa per le vicende amorose di Giulietta e Romeo, buona parte del suo esilio, esattamente sette anni: dal 1303 al 1304 venne ospitato da Bartolomeo della Scala e dal 1312 al 1318 dallo stesso Cangrande. Gli Scaligeri, signori di Verona, avevano sul loro stemma una scala, alla quale fu poi aggiunta un’aquila imperiale.
Giornalista: “Buongiorno messer Durante. Come si trova qui a Verona, in esilio, lontano da casa?”
Dante: “Salve, mi sento molto solo, ma posso dire che tutto sommato sto bene. Devo ringraziare i fratelli Della Scala che mi hanno ospitato, dimostrando grande generosità e magnanimità”.
Giornalista: “Messer Dante, cosa sta facendo qui nella Biblioteca Capitolare?”
Dante: “In questa biblioteca studio testi antichi, contemplo il passato e sogno un nuovo impero portatore di pace e di giustizia. Inoltre, sto scrivendo il Paradiso, terza cantica del mio poema in versi: la Comedìa. Ho deciso di dedicare questa cantica proprio a Cangrande”.
Giornalista: “Quale canto del Paradiso sta scrivendo?”
Dante: “Sto scrivendo il canto XVII, il cui protagonista è Cacciaguida, un mio antenato. Ricordo le parole che nell’aldilà pronunciò il mio avo: “Tu sentirai com’è amaro il pane altrui e com’è duro scendere e salire le scale delle case degli altri.” Cacciaguida nella profezia del mio esilio mi ha esortato a rivelare al mondo tutto quello che ho visto nei tre regni ultraterreni, senza curarmi del parere e delle opinioni altrui”.
Giornalista: “Grazie per la sua disponibilità e buon lavoro. Faremo memoria dei suoi versi: Se segui la tua stella, non puoi fallire a glorioso porto.”
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