di Nicolò Miceli-
Delia è una “donna di casa” nella Roma del dopoguerra. Tiene il suo sottoscala pulito, prepara i pasti al violento marito Ivano e ai tre figli, accudisce il suocero e guadagna solo qualche soldo rammendando biancheria, riparando ombrelli e facendo iniezioni a domicilio. Il quartiere è il suo piccolo mondo e costruiscono una “geografia” familiare rassicurante e allo stesso tempo asfissiante. Delia è una donna invisibile, una delle tante donne-ombra non viste, non rispettate, non considerate. Il suo ruolo è quello di moglie e madre, serva e sguattera. La sua vita è una corsa continua, piena di affanni e frustrazione. Secondo il suocero ha “il difetto di rispondere”, in un’epoca in cui alle donne toccava tenere la bocca chiusa, senza poter esprimere opinioni. Ivano ritiene sacrosanto riempirla di botte e umiliarla per ogni sua “mancanza di rispetto”. La figlia Marcella sta per fidanzarsi con Giulio, il figlio del proprietario della gelateria del quartiere, il che le darebbe la possibilità di allontanarsi dalla condizione arretrata in cui vive la sua famiglia. Per fortuna fuori casa Delia ha qualche alleato: un meccanico che le vuole bene, un’amica spiritosa che la incoraggia sempre, un soldato americano che vorrebbe darle una mano, e soprattutto ha un sogno nel cassetto, sbocciato da una lettera ricevuta a sorpresa. Il tono è divulgativo, pensato per raggiungere il più ampio pubblico possibile e manifesta scelte molto precise come quella del colore: il film è girato nel bianco e nero della cinematografia d’epoca con grande attenzione. Ho apprezzato molto anche la cura che Paola Cortellesi ha messo nella scenografia: studio della quotidianità di una volta, le auto d’epoca, i vestiti, il formato iniziale, come detto prima, che cambia da 4:3 (quello di alcuni anni fa) a 16:9 (quello attuale), la scelta del bianco e nero che colpisce molto, anche perché se immagino adesso alcune scene, me le immagino a colori. Interessante anche la similitudine tra ballo e botte: la Cortellesi non voleva proporre le solite scene violente, allora ha optato per la danza, movimenti delicati ed eleganti tra due persone che la nostra testa però concepisce in modo diverso. Una specie di effetto ottico che ha colpito subito la mia attenzione. Solo uno è il difetto, la cosa che non mi è particolarmente piaciuta: per tutta la durata della vicenda si pensa che la lettera arrivata a Delia sia una lettera d’amore, e viene collegato ciò all’amico meccanico che deve partire in viaggio. Lo spettatore suppone allora che la donna stia andando via con l’amante (borsetta da viaggio, documento d’identità, segreto da non rivelare…tutto torna). Fino agli ultimi minuti sembra essere così, poi si scopre che in realtà sta andando “solo” a votare.È diventato uno dei miei film preferiti. Lo consiglio a tutti, senza limiti, perché non esistono limiti per insegnare che la violenza è la scelta sbagliata e che le donne valgono.