Di Carlo La Vecchia-4^D
Caro Ugo,
dopo tanti anni dalla tua scomparsa ho finalmente avuto l’occasione di poter dialogare con te, attraverso una lettera, che, come la poesia, può superare i limiti del tempo e dello spazio.
Il mondo è così diverso dall’epoca in cui sei vissuto tu! Descrivere i progressi tecnologici, scientifici e sociali sarebbe un compito arduo e richiederebbe troppo tempo, ma sono sicuro che ti farebbe piacere sapere che l’Italia è ora una repubblica unita e autonoma.
Noi diamo per scontati valori come la libertà e l’indipendenza, ma ci dimentichiamo quanto si sia dovuto lottare per ottenerli. Sicuramente ne sei ben consapevole tu, che sei vissuto in un’epoca travagliata da guerre di conquista e rivoluzioni insanguinate, nelle quali sei stato coinvolto attivamente, fedele ai tuoi principi.
Il mondo in cui viviamo noi adesso sicuramente non sarà perfetto: guerre, discriminazioni, terrorismo, dittature sono solo alcuni dei problemi che affliggono il nostro presente.
Nel periodo in cui ti sto scrivendo siamo coinvolti in un’epidemia mondiale che costringe miliardi di persone a mantenere le distanze dagli altri e miete ogni giorno più vittime. Spero tu non ti offenda però se ti confesso che preferisco il mio mondo al tuo, ma, del resto, un’affermazione contraria ti avrebbe procurato grande delusione.
Ho letto la tua vita e parte delle tue opere, e sono rimasto molto colpito da entrambe: mi hanno molto affascinato sia la fermezza nelle tue scelte, il tuo rifiuto di offrirti ai potenti, la tua determinazione sia i tuoi scritti e la tua filosofia, che credevo inconciliabile con il tuo tempo.
Io sono un materialista come te (anzi, forse più un nichilista), e mi ritrovo totalmente d’accordo con le riflessioni da te espresse nel carme Dei sepolcri e nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis: ritengo infatti che la vita sia solo un’illusione, come lo sono l’amore, la bellezza, la compassione e tutti i valori.
Le illusioni sono però il solo modo per conferire un senso alla nostra esistenza così vacua: essa diverrà un’esistenza fittizia, ma viva. Allo stesso modo, nonostante la loro vanità, le tombe sono utili per mantenere il defunto vivo nei ricordi dei suoi cari e vanno rispettate, in quanto legame più profondo fra i vivi e i morti.
Trovo inoltre molta affinità fra la tua nostalgia per la patria pronunciata in A Zacinto e il ricordo che io ho della vita prima della pandemia, che però si tratta più di una lontananza di tempo che di spazio.
Non mi rispecchio, però, nella tua visione del suicidio: nelle Ultime Lettere di Japoco Ortis, il protagonista difende il suicidio come protesta estrema e manifestazione sublime della libertà individuale. Nelle tue opere viene presentata la morte come un porto tranquillo e desiderato, siccome libera l’uomo da ogni affanno: io ritengo però che la vita, sia pure vana e illusoria, sia preziosa e vada rispettata e che rifiutarsi di vivere non sia un atto nobile ma solo una scelta arrendevole. Non abbiamo scelto noi di venire al mondo, ma darla vinta alle sofferenze sarebbe come ammettere di aver perso. Allo stesso modo in cui tu hai conquistato la tua lingua e la tua individualità mutando il tuo nome, per vincere la vita bisogna conquistarla, viverla, perché è l’unica che abbiamo.
Penso di aver esaurito gli argomenti di cui discutere con te per oggi, anche se non potrò aspettarmi una risposta, quindi mi limiterò ad augurarti quiete nel tuo porto. Il tuo tempo sarà finito secoli fa, ma la tua poesia resterà eterna.
Cordiali saluti