Fonti Virgolettati tratti da : Appello Fondazione PerugiAssisi, Università degli Studi di Padova e Centro di Ateneo per i diritti umani Antonio Papisca del 28 maggio 2024.
Tutti ricorderanno che il 26 Gennaio scorso la Corte Internazionale di Giustizia si era pronunciata nella controversia iniziata dallo stato del Sudafrica contro Israele “relativa all’applicazione della Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio (1948) ratificata da entrambi i paesi (Israele nel 1950, il Sud Africa nel 1998) senza riserve.”
In quella occasione la CIG ha ritenuto che “Israele debba, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio, nei confronti dei palestinesi di Gaza, adottare tutte le misure in suo potere per impedire la commissione di tutti gli atti che rientrano nell’ambito dell’Articolo II di questa Convenzione, in particolare: (a) uccidere membri del gruppo; (b) causare gravi danni fisici o mentali a membri del gruppo; (c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per portarlo alla distruzione fisica in tutto o in parte; e (d) imporre misure volte a prevenire le nascite all’interno del gruppo. La Corte ricorda che questi atti rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo II della Convenzione quando sono commessi con l’intento di distruggere in tutto o in parte un gruppo in quanto tale. La Corte ritiene inoltre che Israele debba garantire con effetto immediato che le sue forze militari non commettano nessuno degli atti sopra descritti”. E intima altresì di “adottare tutte le misure in suo potere per prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio nei confronti dei membri del gruppo palestinese nella Striscia di Gaza” e ad “adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse dei palestinesi nella Striscia di Gaza”.
Altri due pronunciamenti sono però necessari : quello del 16 febbraio e quello del 28 marzo a causa dell’evidente constatazione che nessuna delle misure indicate è attuata da Israele che puntualmente snobba le ordinanze della CIG come in passato ha ignorato le diverse risoluzioni ONU a partire dalla prima, la 181 del 1947 contenente la soluzione dei due stati.
Come può Israele ignorare le decisioni di una Istituzione sovranazionale nata espressamente allo scopo di individuare le responsabilità degli stati che violano il diritto internazionale? Come può non attenersi alle sue decisioni che sono (in base all’art. 59 del suo statuto) definitive, inappellabili e vincolanti ? Come può Israele credersi al di sopra di ogni legge ?
Semplice, basta non riconoscerla. E infatti lo stato di Israele non ha riconosciuto la giurisdizione della Corte insieme a Stati Uniti, Cina e Russia così come non ha riconosciuto la Corte Penale Internazionale istituita nel 1998 grazie al lavoro di tanti magistrati tra cui la lucana Silvana Arbia, per processare e condannare gli autori di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio e dare così giustizia alle vittime delle più feroci violazioni dei diritti umani ( a partire dal genocidio del Rwanda).
Il fatto è che ritenersi al di sopra della legge viola uno dei principi e cardini non solo dello stato democratico, ma addirittura dello stato di diritto: il principio di legalità, secondo il quale nessuno può dirsi al di sopra della legge, tanto meno gli stati, né in contesti nazionali né nell’ordine internazionale a meno che non vogliano porsi al di fuori di quei contesti e di quell’ordine, e condannarsi all’isolamento. E sarebbe davvero curioso che Israele indicato come avanzata democrazia da molti suoi fans o follower ( che più a un virtuale tifo da stadio il sostegno internazionale somiglia che a mature relazioni tra enti sovrani) non potesse essere riconosciuto neppure come stato di diritto.
E tuttavia laddove la posizione del governo israeliano s’incaglia è proprio una delle poche Convenzioni internazionali cui ha aderito : quella sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio fatta su misura per evitare il ripetersi degli orrendi crimini commessi contro gli ebrei nel terribile buco nero della storia che è stata la Shoah. Benjamin Netanyahu non può non prendere atto che proprio quella Convenzione gli impedisce di proseguire nella folle mattanza che sta perpetrando nei confronti di civili di Gaza. Per questo il 24 maggio la CIG ha emanato una nuova ordinanza per ribadire che “lo Stato di Israele, in conformità con gli obblighi assunti con la Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio e in considerazione del peggioramento delle condizioni di vita dei civili nel Governatorato di Rafah”, deve rispettare le seguenti misure provvisorie:
“a) interrompere immediatamente l’offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah che possa infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita che potrebbero portare alla sua distruzione fisica, totale o parziale;
b) mantenere aperto il valico di Rafah per la fornitura senza ostacoli di servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari;
c) adottare misure efficaci per garantire l’accesso senza ostacoli alla Striscia di Gaza di qualsiasi commissione d’inchiesta, missione d’indagine o altro organo investigativo incaricato dagli organi competenti delle Nazioni Unite di indagare sulle accuse di genocidio.”
Nel contempo il 20 Maggio il procuratore capo presso la Corte penale internazionale ha presentato le richieste di mandato d’arresto per la situazione nello Stato di Palestina nei confronti di Benjamin Netanyahu, Primo Ministro di Israele, di Yoav Gallant, Ministro della Difesa di Israele oltre che nei confronti di alcuni dei principali leaders politici e militari di Hamas. Dunque qualcosa si muove, e si muove per davvero negli organi della giustizia internazionale. E non solo. Il 10 maggio infatti, 143 Stati dell’Onu si sono detti favorevoli all’istituzione immediata della Palestina come 194° Stato membro dell’Onu, con i confini del 4 giugno 1967 e capitale Gerusalemme Est. E qualcosa si muove in molti stati del vecchio Continente, nonostante il silenzio assordante delle Istituzioni europee, Norvegia, Irlanda e Spagna riconoscono formalmente lo Stato di Palestina proprio mentre a Rafah in un campo profughi bruciano vivi ( e non per combustione naturale) decine di bambini e donne innocenti. Le società civili, ovunque nel mondo e anche in Italia si ribellano, i giovani sono stanchi e saturi di tutto questo sangue e questo orrore, sproporzionato, ingiustificato e inutile. Gli studenti occupano le università negli Stati Uniti, in Francia e in molte città italiane e da ultimo, a Bologna, bloccano la stazione ferroviaria.
La Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace e Il
Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, Università di Padova, da mesi lanciano appelli per il cessate il fuoco e una soluzione giusta per tutte le guerre in atto riprendendo le parole di papa Francesco “Bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale” (Papa Francesco, Fratelli tutti)
Il dieci maggio mentre 143 Stati dell’Onu si sono detti favorevoli all’istituzione immediata della Palestina come 194° Stato membro dell’Onu, con i confini del 4 giugno 1967 e capitale Gerusalemme Est, l’Italia si è astenuta.
“L’Italia e l’Unione Europea che hanno nel loro DNA i valori del ripudio della guerra, del rispetto della dignità umana e dei diritti umani, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello stato di diritto non possono più tacere. Non hanno più alibi. Devono dire ai cittadini e alle istituzioni che invocano pace e giustizia, da che parte stanno.”
D’Uggento Antonia Gabriella