“Che hai tu da guardare, povero monaco!”. Questa è stata la prima interazione con quel vanitoso. Il giovane dai capelli biondi continuò: “Non sapevo che per l’accoglienza della mia persona assoldassero anche le bestie!”. Io in città ero abbastanza benvisto, perché non sapevano dell’episodio della pazzia. Ma quando quel giovinastro iniziò a parlare, si alzarono voci contro di me: “Sì, è vero! Bestia, vai via!”. Non mi ero mai sentito più sbagliato di così. Ed è stato in quel momento che un nuovo attacco di pazzia mi ha preso. Gli occhi mi diventarono rossi, non ragionavo più, urlavo a dismisura, distruggevo tutto, facevo del male alle persone. Quell’attacco fu più forte degli altri, quindi mi fecero tornare al monastero scortato da alcuni soldati. Fu una sorpresa per tutti vedermi al di fuori del monastero, perché in realtà avrei dovuto essere a letto a riposare. Per fortuna alcuni commentarono: “Sarà andato a prendere dei luppoli”, “Sarà andato a fare una passeggiata per conciliare il sonno”. Ma in fondo, tutti sapevano cosa era successo. Era tutto ricominciato daccapo: nessuno mi parlava se non per lavorare, lavare o cucinare. Almeno, visto che tutti mi ignoravano, avevo più tempo per lavorare nel mio laboratorio. Se così non fosse stato, non sarei riuscito a trovare una specie di cura per gli attacchi che si erano fatti sentire sempre di più in questi giorni, ma che nessuno poteva vedere a causa del mio auto-isolamento. La cura in realtà non era propriamente una cura, era più una sorta di calmante che funzionava come una droga: lo usi una volta e quella dopo ne vuoi di più. Se fosse stato solo questo mi sarebbe andato anche bene, perché aveva un costo di poco superiore a zero. Il problema era che se avessi smesso con questa cura avrei avuto nuovamente in una sola volta tutti gli attacchi che avevo evitato e con tutti i sintomi sommati. Ho iniziato così, quasi volontariamente, a trascurare il virus per concentrarmi su quello che mi stava succedendo. Durante un pomeriggio sono tornato in città a prendere altri ingredienti e passando davanti ad una libreria, in vetrina, ho visto un libro di un certo Freud, uno scienziato che studia i comportamenti del cervello umano: un giovane che aveva già incominciato la sua scalata per arrivare sul monte Olimpo dei grandi scienziati. Così, con i soldi che dovevano servirmi a prendere altri ingredienti, comprai quel libro insieme a uno sullo studio delle reazioni chimiche che accadono durante la fermentazione della birra: in fondo, sono sempre un birraio. Dopo notti insonni a cercare di capire e a comprendere l’inizio del libro, capii che quello che mi stava succedendo non era legato al mio cervello, ma a qualcosa che ci stava dentro senza che ne fossi consapevole. Quindi tornai alla biblioteca e cercai un libro: non sapevo esattamente quale. Doveva essere un libro che in qualche modo potesse aiutarmi a capire. “Buonasera. Che libro vuole? Su, mi dica l’argomento così io l’aiuto, lei esce prima e il resto della clientela potrà tornare dentro” mi disse in modo distratto e sbrigativo la bibliotecaria. Per scherzare mi chiese se volevo qualcosa sui demoni e mi si accese in testa una lampadina. “Sì, grazie, al monastero stiamo studiando le tentazioni del diavolo e i suoi comportamenti” le dissi per cercare di sviare i sospetti. Tornando al convento, vidi appesa una taglia sulla quale era raffigurata una grossa sagoma nera. Nella descrizione c’era scritto: “soggetto simile a un orso ha brutalmente ucciso nella notte una famiglia. Taglia 10 000 franchi. Il re non bada a spese per la cattura di questa bestia inumana!”. Così mi sorse il dubbio …
Chi è la bestia? Potrebbe essere il monaco …
A venerdì per il prossimo episodio!
Giacomo Ozzino, 2^H