ALBERTO VERRENGIA (II B) – Dalla fondazione della colonia greca Partenope, avvenuta nel VI secolo a.C. circa da parte di alcuni coloni dell’attuale Cuma, all’istituzione del primo vero centro abitato, denominato Neapolis, il greco dorico divenne la lingua ufficiale dei partenopei.
A seguito dell’incursione romana del 326 a.C. ai danni della Campania Felix ogni nucleo abitativo soggiogato subì sorti differenti. Così Napoli, che in quel periodo contava 30.000 abitanti, strinse con Roma il foedus neapolitanum, trattato di alleanza che concedeva ampi diritti alla città in cambio di favori politici e militari; tale condizione di privilegio venne meno però con la seconda invasione delle truppe romane in territorio campano. L’idioma greco, a questo punto, fu sostituito gradualmente dal latino parlato dai commercianti che percorrevano quelle zone, dai soldati e dai cittadini dell’Urbe lì trasferiti. La caduta dell’Impero romano d’Occidente, nel 476, diede inizio ad un lungo periodo di costante mutazione dell’idioma parlato dai napoletani: durante la dominazione angioina, instaurata nel 1246, subì, ad esempio, l’inflessione del francese assumendo quindi le forme di una vera e propria lingua. Giovanni Boccaccio nel 1339 scrisse «L’epistola napoletana» all’amico Franceschino De’ Bardi, con un’introduzione in fiorentino e un prosieguo in partenopeo.
Nel 1442, con l’incoronazione di Alfonso V d’Aragona, il napoletano rimpiazzò definitivamente il latino nei documenti, divenendo la lingua del Regno di Napoli. Dopo circa un secolo, tuttavia, sotto il dominio di Ferdinando II d’Aragona, al dialetto subentrò il castigliano come lingua ufficiale del regno. L’idioma partenopeo venne quindi utilizzato unicamente dai diplomatici e dai funzionari pubblici; non cadde, invece, in disuso nelle città dove, anzi, subì un’evoluzione a livello artistico. Il 1537 fu l’anno della collezione delle «Villanelle napoletane», canzoni popolari collegate a poesie di origini più antiche delle quali veniva riprodotta la metrica, i cui argomenti erano, il più delle volte, comici e satirici ed è, forse, questo il motivo per cui, in una prima fase, divennero conosciute a livello nazionale, per poi diventare note a tutte le corti europee.
Cent’anni più tardi, Giambattista Basile, letterato di Giugliano in Campania, scrisse Lo cunto de li cunti, una raccolta di cinquanta racconti, redatta in lingua napoletana, che riprendeva il modello della narrativa di Giovanni Boccaccio, con caratteristiche appartenenti alla novella medievale trasferite, con toni fiabeschi, a contesti popolari complessi; questo spiega perché nonostante il sottotitolo dell’opera recitasse Lo trattenimiento de peccerille essa fosse rivolta al solo pubblico adulto. Tra i racconti di maggior rilievo vi è quello de La gatta cennerentola, riadattamento della nota fiaba di Cenerentola, che fu inclusa nelle raccolte dei Fratelli Grimm e di Charles Perrault. L’intero Cunto fu tradotto in italiano nel 1924 dal filosofo Benedetto Croce, con il titolo di Pentamerone e nel 1986 da Michele Rak con la stessa intitolazione.
Il napoletano, così come tutti gli altri dialetti, subì una battuta d’arresto quando a seguito dell’Unità d’Italia l’insegnamento dell’italiano divenne obbligatorio in tutte le scuole della penisola; coloro che ebbero difficoltà ad esprimersi correttamente in lingua italiana furono relegati ai margini della società venendo, talvolta, discriminati.
Situazione ben diversa è quella dei giorni nostri: il napoletano è da tempo oggetto di numerosi studi linguistici; a riprova di ciò, la pubblicazione da parte del cantante Aurelio Fierro del libro La grammatica napoletana. Lo stesso artista, studioso della cultura e delle tradizioni partenopee, nell’arco degli anni novanta, ha dato alle stampe Fiabe e Leggende napoletane ed è stato impegnato nella stesura di una Enciclopedia storica della canzone rimasta inedita. Negli ultimi mesi del 2000, per inaugurare il nuovo anno, realizzò una tournée in Giappone chiamata “Italy in Japan”, la quale riscontrò un notevole successo, data anche la grande passione dei nipponici per la musica italiana in generale e per quella napoletana in particolare. Un altro contributo fondamentale per l’espansione dell’idioma partenopeo è dato ogni giorno da Wikipedia napulitana: la famosa enciclopedia online, infatti, offre, tra le tante traduzioni anche la cliccatissima versione in dialetto napoletano.