di Alessandra Scutari, Classe 1^ C e Sara Rossi, Classe 1^ B. – Cari lettori e lettrici siamo nel periodo di Carnevale così non si può che non parlare di maschere e in particolare di quelle della Commedia dell’Arte. Una molto famosa e l’Arlecchino, la quale è molto antica, infatti è nata intorno alla metà del XVI secolo, ma che ha legami molto più arcaiche che risalgono al paganesimo o che addirittura avrebbe delle origini diaboliche. L’etimologia germanica della parola Arlecchino risulta essere composta dalle parole “Hölle König” ha hanno la traduzione in “Re dell’Inferno”. Questa maschera è il risultato dalla contaminazione di due tradizioni: quella bergamasca arlechì e quella farsesca di personaggi diabolici francesi. Il suo costume è formato da lusanghe multicolori. Il suo ruolo è quello di un servitore allegro e astuto che, insieme all’altra maschera Brisighella, agisce contro il padrone per realizzare i suoi obiettivi amorosi per Colombina. Per questo ne combina di tutti i colori, inventa imbrogli e burle a spese del proprio padrone che spesso è taccagno ma, purtroppo per lui, non gli va bene una. Nonostante ciò, Arlecchino non è uno stupido ma un po’ ingenuo, e forse a volte è un po’ sciocco, alla fine risulta essere ricco di fantasia e immaginazione riuscendo sempre a trovare una soluzione. In Italia l’attore Giacinto Cattoli detto “Tracagnino” fu il suo interprete tra la fine del 17° e l’inizio del 18° secolo. L’altro attore Antonio Sacco è stato l’ultimo grande Arlecchino al quale Carlo Goldoni dedicò molti capolavori rientranti nella Commedia dell’Arte. La più famosa commedia di Carlo Goldoni scritta nel lontano 1745 è “Arlecchino servitore di due padroni” che ancora oggi riscuote molti consensi positivi ad ogni sua rappresentazione teatrale. I personaggi parlano in dialetto e la commedia è un’opera di intrattenimento, comica e divertente. Lo scenario di questa commedia è la Venezia dei tempi di Goldoni dove nella sua casa Pantalone dei Bisognosi, un anziano mercante, assiste alla promessa di matrimonio tra sua figlia, Clarice, e Silvio, figlio del Dottore Lombardi. Alla promessa assistono anche Smeraldina, la giovane serva di Clarice che è a servizio in casa di Pantalone e Brighella, il locandiere veneziano che fa da testimone. Accade che all’improvviso si vede l’entrata in scena di Arlecchino (Truffaldino), il giovane servo venuto per annunciare l’arrivo del suo padrone Federigo Rasponi, giunto a Venezia per incontrare la sua futura sposa. In realtà questi è, travestito da uomo, sua sorella Beatrice Rasponi che sta cercando Florindo Aretusi, suo amante fuggito a Venezia dopo aver ucciso proprio Federigo. In seguito Brighella riconosce Beatrice ma non svela l’inganno e sta al gioco. Truffaldino non sa nulla della vera identità del suo padrone e vuole soltanto mangiare perché ha sempre fame. Essendo trascurato da Beatrice per caso si trova a servire un altro padrone, che si rivela essere Florindo Aretusi sotto il falso nome di Orazio Ardenti. Beatrice e Florindo quindi diventano le vittime delle bugie, dell’ingordigia e della scaltrezza di Truffaldino che crea guai su guai. Finge di saper leggere e scambia il contenuto di due bauli, uno di Beatrice e l’altro di Florindo, che una volta accortosi dello scambio chiamano Truffaldino per chiedergli spiegazioni. Truffaldino racconta ad entrambi di averli ereditati da un precedente padrone defunto. Nel momento in cui Beatrice e Florindo minacciano di suicidarsi convinti che i rispettivi amanti siano morti, è proprio Truffaldino che riesce a risolvere ogni cosa. I due padroni innamorati si ritrovano per caso, dopo la riconferma della loro dichiarazione d’amore, realizzano il loro sogno sposandosi. Lo stesso accade a Truffaldino e Smeraldina che, come premio, ottengono dai loro padroni il permesso di sposarsi.