E’ martedì pomeriggio e fuori piove.
Accanto al caminetto la nonna sfoglia la sua rivista preferita, mentre il nonno sonnecchia sdraiato sulla sua vecchia e morbida poltrona. Il piccolo Manuel è impegnato nello svolgimento del suo compito di matematica; lo trova particolarmente impegnativo e difficile e, all’improvviso, esclama: <<Che cosa brutta la scuola!>> poi, sbuffando, si domanda ad alta voce: <<Ma chi l’ha inventata?>>.
A queste parole il nonno si sveglia di soprassalto, sgranando gli occhi. La nonna, invece, sorpresa gli dice: <<Manuel, amore di nonna, lo so che la scuola alla tua età può sembrare un incubo ma, quando sarai grande, capirai la sua importanza>>.
Il nonno, sbadigliando e lisciandosi la folta e bianca barba, aggiunge: <<Lo sai che la scuola è più vecchia di me?>>.
<<Veramente? Secondo me, non sarà poi così tanto vecchia, tu sei un giovanotto! Dai, raccontami la sua storia!>> lo prega Manuel.
Il nonno, divertito, inizia il suo racconto: <<Non te lo aspettavi, vero? La scuola è molto più anziana di quello che puoi immaginare! Devi sapere che le prime scuole dell’umanità sono comparse attorno al III millennio a.C. nella terra di Sumer in Mesopotamia>>.
<<Wauuu, è fantastico! Ma fammi capire meglio: dove si trova Sumer? Sul planisfero non l’ho mai visto>>.
<<Non puoi vederlo perché all’epoca si chiamava così; oggi, invece, corrisponde all’Iraq. Sumer significa “Paese coltivato”. Era infatti un territorio molto particolare perché le sue terre erano molto fertili, grazie al limo che restava dopo le piene dei fiumi Tigri ed Eufrate. I Sumeri, provenienti dai villaggi dei monti Zagros, si stanziarono in questo territorio e, dopo averlo bonificato, impararono ben presto a controllare queste piene, costruendo argini e canali che servivano anche a portare l’acqua ai terreni più lontani. L’agricoltura dei cereali si sviluppò rapidamente; i raccolti erano sempre più abbondanti; la popolazione aumentò e, pian piano, i villaggi divennero importanti città come Ur e Uruk>>.
<<Ricordo bene questa storia!>> aggiunge la nonna. <<L’ho studiata in quarta elementare molti anni fa. Nelle città si diversificarono i lavori, ci fu la specializzazione nei mestieri e nacquero così le classi sociali>>.
<< Nonna, scusa se ti interrompo … ma cosa c’entra tutto ciò con la scuola? >>.
<<C’entra, c’entra. Ascolta attentamente e capirai. In queste città, tutti pagavano i tributi. Non esisteva ancora la moneta, perciò si trattava di prodotti alimentari o di animali, e non solo. Tutto veniva conservato nei magazzini della … della …. oh, ma come si chiamava?>>.
<< Ziqquarat!>> suggerisce il nonno.
<<Ecco, bravo… ce l’avevo sulla punta della lingua. La Ziqqurat era una grandissima torre a più piani sulla cui cima si trovava il tempio dedicato al dio protettore della città-stato>>.
<<Nonnetti, tutto molto interessante, ma quando arriviamo alla scuola?>>.
<<Tra poco, porta pazienza!>>. Il nonno si schiarisce la voce e riprende a raccontare <<Devi sapere che, nella Ziqqurat, i sacerdoti tenevano il conto di tutti i prodotti che entravano e uscivano. A mano a mano che i prodotti aumentavano, però, la memoria non bastò più! Ad un certo punto, a Uruk, i sacerdoti sentirono la necessità di registrare i tributi, così cominciarono a confezionare le bulle, sfere di argilla con all’interno dei gettoni che rappresentavano le quantità delle merci registrate. Con il tempo ci fu un miglioramento: prima si iniziò ad incidere direttamente il gettone simbolo sulla bulla. Dopo la bulla divenne una tavoletta piatta. Ai segni dei numeri i sacerdoti aggiunsero disegni, i pittogrammi, che rappresentavano animali o merci trasportati. Ci fu poi il passaggio agli ideogrammi, che non rappresentavano più dei segni ma delle idee. Con il tempo questi si semplificarono sempre più, fino a diventare segni simili a piccoli cunei. Questa scrittura, perciò, fu chiamata cuneiforme e, col passar del tempo divenne sillabica>>.
A quel punto, la nonna aggiunge: <<Questa scrittura, però, era molto difficile! Solo gli scribi ne conoscevano tutti i segreti. Così i Sumeri, per impararla, inventarono la scuola che era chiamata Edubba ossia “Casa delle tavolette”, proprio perché gli alunni incidevano i segni su tavolette di argilla fresca che poi lasciavano asciugare al sole. Era, però, una scuola molto particolare: potevano frequentarla solo i bambini più ricchi perché solo loro potevano permettersi di pagare i maestri. Gli alunni erano soprattutto maschi, anche se non sono mancate donne scriba, ma erano poche >>.
Il nonno, grattandosi la testa, afferma: <<Eh, sì! Manuel, voi ragazzi non sapete di essere molto fortunati perché a quei tempi la scuola era molto dura! Pensa che i bambini ci restavano dall’alba fino al tramonto perché dovevano imparare ben 600 segni, all’inizio addirittura di più. Voi, invece, per memorizzare e scrivere tutte le lettere dell’alfabeto, che sono solo 21, impiegate molto meno tempo, e potete scrivere un’infinità di parole. Per non parlare del fatto che nelle Edubba, se sbagliavi una lettera o facevi arrabbiare i maestri, ti bastonavano>>.
<<E io che mi lamentavo della scuola dei nostri tempi, quando c’era il voto in condotta, quando se non studiavi ricevevi il cappello dell’asino e dovevi girare per tutta la scuola mentre gli altri ridevano>> dice la nonna. <<Invece oggi, fortunatamente per voi, si ricorre a una piccola nota per errori molto più gravi>>.
<<Per farti capire meglio la situazione di questi poveri scolari sumeri, ti leggerò una specie di pagina di diario scritta da un bambino sumero che descrive la sua giornata scolastica.>>, continua il nonno.
uando mi alzavo presto la mattina,
mi volgevo a mia madre e le dicevo:
“Dammi la colazione, devo andare a scuola!”
Mia madre mi dava due focacce e io uscivo;
mia madre mi dava due focacce e io andavo a scuola.
A scuola l’incaricato della puntualità diceva:
“Perché sei in ritardo?”
Io ero impaurito e il cuore mi batteva,
entravo davanti al mio maestro e facevo l’inchino.
Il mio direttore leggeva la mia tavoletta, diceva:
“Ci manca qualcosa”, mi bastonava.
L’incaricato del silenzio diceva:
“Perché parlavi senza permesso?”, mi bastonava.
L’incaricato della condotta diceva:
“Perché ti sei alzato senza permesso?”, mi bastonava.
L’incaricato della frusta diceva:
“Perché hai preso questo senza permesso?”, mi bastonava.
L’incaricato di sumerico diceva:
“Perché non hai parlato sumerico?”, mi bastonava.
Il mio maestro diceva:
“La tua mano non è buona”, mi bastonava.
Spaventato Manuel dice: <<Nonni, ho cambiato idea: sono fiero della scuola di oggi. Una scuola dove si impara anche divertendosi, dove si fanno tante amicizie, piena di armonia, empatia e collaborazione, dove si può esprimere liberamente ogni pensiero, basta solo rispettare le regole della buona convivenza e non offendere gli altri>>.
Din Don… suona il campanello. “Chi è?” chiede Manuel. Dall’altro lato della porta una dolce voce risponde: <<Sono la mamma! Sei pronto per tornare a casa?>>.
Manuel si porta le mani alla testa ed esclama: <<Oh, no! Non ho ancora finito i compiti di matematica, anche se ho imparato una gran bella lezione dal vostro racconto. Grazie, nonni. Ora apprezzo la mia scuola e vi prometto che non mi lamenterò più. Anzi, mi impegnerò così tanto a scrivere perché da grande vorrei fare lo scriba>>.
Tra i sorrisi dei nonni, Manuel corre a completare il lavoro… senza più sbuffare!
Classe IV B Scuola Primaria Don Milani