//ALBANIA, STORIA DI UNA DITTATURA

ALBANIA, STORIA DI UNA DITTATURA

di | 2018-06-06T15:07:05+02:00 6-6-2018 10:13|Alboscuole|0 Commenti
di ALEUS SHIJAKU, ALDO LUSHA e ANDREA MANE – Enver Hoxha, il dittatore che ha governato in Albania per 45 anni, ha portato il paese ad una miseria con cui ancora oggi bisogna fare i conti. Abbiamo quindi deciso di intervistare un cittadino albanese in Italia da 22 anni per conoscere il suo punto di vista e mettere in evidenza la realtà dell’Albania prima e dopo la caduta del comunismo. Quanti anni ha? Ho 45 anni. Quanti anni aveva quando ha lasciato il suo paese? Quando ho lasciato il mio paese avevo 18 anni. Per quale motivo? Per motivi economici. Si ricorda il periodo in cui governava Enver Hoxha? Si, mi ricordo qualcosa. Quali erano i lati positivi di questa dittatura e quelli negativi? C’era più sicurezza, anche se dormivi fuori non ti succedeva niente. Però non si mangiava tre volte al giorno come adesso e non c’era libertà e non si poteva andare nei paesi occidentali, compresa l’Italia. I cittadini avevano case di proprietà, automobili? No, non avevano case di proprietà e solo le èlite del partito comunista avevano automobili. Si ricorda quando è caduto il comunismo? Si, mi ricordo la caduta del comunismo. Il comunismo è caduto grazie alla manifestazione degli studenti. Quanto guadagnava un operaio ai tempi di Enver Hoxha, quanto si guadagna adesso? Ai tempi di Enver Hoxha si guadagnava 2000 leke che sono 1,80 euro (al mese), e adesso più di 300000 leke che sono 280/300 euro (al mese). Non è raro sentire la gente comune parlare dei tempi di Henver Honxha come dei tempi felici in cui veniva garantito il diritto allo studio, al lavoro, alla casa, ma non bisogna dimenticare che, come in tutte le dittature, i telegiornali parlavano del successo del comunismo, a scuola si educavano i giovani ad elogiare il partito, non c’era differenza tra gli strati sociali come adesso, semplicemente perché la povertà era diffusa. E non bisogna dimenticare le persecuzioni contro gli oppositori politici e gli intellettuali, tutti avevano paura di tutti, nessuno esprimeva le proprie opinioni per paura che altri sentissero e andassero a riferire agli esponenti del partito.