di Sara Di Benedetto – Piano piano ci siamo scivolati dentro.
Questo è stato un lunedì nero, per il crollo della Borsa, per i problemi di ordine pubblico che vanno dal controllo degli spostamenti delle persone al dilagare delle rivolte nelle carceri, per i bollettini sempre più drammatici che arrivano dal fronte delle terapie intensive.
E ora, si ferma il Paese intero.
Non ci sono più zone rosse, zone arancioni o libere.
L’Italia intera è un’area protetta, un’unica area protetta.
L’ha detto il premier Conte: “nessuno spostamento, tutti fermi”.
Lo spirito del nuovo decreto, Conte l’ha sintetizzato così: “io resto a casa“.
Citando Churchill, questa per noi, è l’ora più buia.
L’abbiamo evocata dal primo giorno la quarantena, da quando quasi due mesi fa abbiamo incominciato a parlare di un virus nuovo e delle misure straordinarie che in Cina venivano adottate per fronteggiare il contagio.
Isolata Wuhan, una metropoli di 11 milioni di abitanti, che pochi di noi conoscevano prima e che adesso, invece, ci sembra familiare.
Era la quarantena più ampia della storia e forse non l’abbiamo guardata con l’attenzione che meritava.
In fondo, la Cina è lontana.
È un Paese dove le misure autoritarie sono normali – diciamo così – e dove la popolazione è abituata ad obbedire a provvedimenti anche durissimi, dove la sorveglianza e il controllo sociale fanno parte delle vita di tutti i giorni.
Il Coronavirus e le misure estreme adottate per contenerne la diffusione non sembravano qualcosa che ci riguardasse da vicino.
E invece, in meno di due mesi, il nostro Paese è diventato il secondo al mondo per numero di morti, dopo la Cina.
Per loro, invece, la situazione, adesso, sta lentamente cambiando.
Terzo giorno di quarantena forzata.
Sembra un diario di bordo, eppure non lo è.
O forse sì.
Inconsciamente stiamo vivendo quello tra qualche decennio sarà riportato sui libri di storia, accompagnato da un titolo senza precedenti: “L’Italia e il Coronavirus: il dilagare di un’epidemia per non rinunciare all’aperitivo“.
E non è un qualcosa di cui vantarsi.
Magari tra qualche anno ci rideremo anche su, pensando a quanto la gente sia stata incoerente ed abbia sottovalutato una “semplice influenza” che tanto semplice non è.
Ma ora, in un momento storico in cui la gente ha paura anche solo di abbracciarsi, in un momento storico in cui anche i sentimenti sono stati messi in quarantena, forse, e dico solo “forse“, riusciremo a capire quanto abbiamo sopravvalutato quei gesti quotidiani, piccoli ma pieni di vita.
In fondo siamo umani.
E ciò che ci resta veramente fare – tra una partita a Risiko ed una a Monopoli – è quella di preservare la nostra essenza. RESTIAMO UMANI!
Dopotutto l’Italia ce l’ha sempre fatta.
Si è sempre rialzata.
E se, fra due settimane, riusciremo ad abbracciarci, a ritornare a lavorare, potremo finalmente scendere per le strade.
Festeggeremo senza fine perché, sì, anche questa brutta storia è finita e saremo ritornati alla “normalità” – che pur si chiama così per un motivo.
E allora, sì, potremo finalmente ridere della nostra incoerenza.
Ma fino ad allora restiamo uniti e stringiamoci in un forte abbraccio (ovviamente virtuale).