Samuele De Cillis
L’immagine che mi ha colpito maggiormente presenta due uccelli che spiccano il volo da una gabbia aperta. Quest’immagine mi ha fatto pensare subito alla libertà: poter uscire, rivedere i propri amici, riabbracciare i parenti, spiccare il volo verso un cielo infinito e tinteggiato da colori meravigliosi.
C’è stato un periodo in cui anch’io mi sono sentito fortemente limitato e prigioniero, proprio come quei due uccellini, recluso in una gabbia invisibile.
All’età di dodici anni mi sono sentito all’improvviso isolato dal mondo!
È successo tutto inaspettatamente: avevo appena cominciato la scuola media con un carico di ansia che, gradualmente, sono riuscito a superare quando, nel mese di marzo, una Ordinanza del Governo ha limitato la nostra libertà.
Il Covid-19, questo sconosciuto, è entrato prepotentemente nella nostra vita, ha contagiato migliaia di persone e limitato la libertà di tutti. Per decreto nessuno poteva uscire più da casa. Da quel giorno non si è aperta più una sola porta, una sola finestra se non per ragioni di estrema necessità. Tutte le scuole sono state chiuse, gli aerei sono rimasti a terra, le auto nei parcheggi: il mondo si è fermato in un silenzio assordante.
Anche io, inevitabilmente, sono stato obbligato a restare a casa per quasi due mesi e studiare da “prigioniero” per tutelare la mia salute e quella dei miei cari.
Il coronavirus è diventato la variabile dipendente delle nostre vite: l’immagine delle file di bare di legno e i grossi camion dell’esercito che le scortavano per strada, la mia immagine e quella di tanti ragazzi e adulti che cantavano dai balconi, la voce di un ragazzo in gabbia, la cui gabbia si chiama quarantena…
Questa circostanza mi ha fatto riflettere su quanto sia importante gestire la propria libertà, bene prezioso che accompagna l’esistenza di ognuno di noi. In quei giorni è stato dominante il desiderio di rivedere i miei amici, di ritornare a scuola, di riappropriarmi del mio tempo, di riprogettare il mio futuro che dipendeva dalla curva del contagio.
Per associazione di idee, ho paragonato tutti noi ad un grande stormo di uccelli che non ha potuto volare liberamente nel cielo perché “infetto e pericoloso” e non poteva scegliere la destinazione da raggiungere in piena libertà.
Anche se ho sofferto molto, nonostante il ricordo predominante legato ai quei giorni resta la nostalgia della libertà e la sensazione di sentirmi in gabbia, ho però dato un valore positivo a questa limitazione perché il lock-down mi ha dato la possibilità di dilungarmi nelle videochiamate con i miei amici o di disputare numerose partite di calcetto con mio padre, momenti di gioia che custodirò per sempre nel forziere della mia memoria.
Purtroppo, in quest’ultimo periodo, dopo una piccola pausa estiva, è ritornato prepotentemente lo spettro dei contagi e nuovamente mi ritrovo a pensarmi come un uccellino chiuso in gabbia! Un uccellino che lascia la sua prigione solo per andare a scuola, che spera di tornare al più presto alla normalità, che vuole assaporare il piacere di riabbracciare i propri parenti, un uccellino che scalpita per poter tornare a giocare con i propri amici.
Mi sento un uccellino con tanta voglia di libertà!