//#MajoranaPentameron#2*B- Antichi mestieri della bella Napoli:’O sanguettaro

#MajoranaPentameron#2*B- Antichi mestieri della bella Napoli:’O sanguettaro

di | 2020-04-17T15:18:09+02:00 17-4-2020 15:18|Alboscuole|0 Commenti
Di Laura Morrone-2^B Il Settecento è stato il periodo storico maggiormente caratterizzato da scoperte nei vari campi del sapere umano. Fra tutte le scienze, proprio la medicina incominciò, durante il cosiddetto “secolo dei lumi”, a rivolgersi meno ai filosofi e più agli specialisti delle discipline fisiche e naturali. Vi furono diversi progressi nell’assistenza sanitaria, anche se non di rado, quando insorgevano problemi fisici, i malati non si rivolgevano al medico. A Napoli, per esempio, in alcuni casi si chiamava anche il barbiere. Quest’ultimo era conosciuto come il “sanguettaro”, poiché era deputato ad applicare le sanguisughe, chiamate anche “sanguette” o “sanghezuga”, sul corpo delle persone colpite da ictus, trombosi o da altre malattie. La sanguisuga è un piccolo animale nero invertebrato, che vive solitamente nelle acque stagnanti e può essere pescato soprattutto in autunno. È provvisto di ventose con le quali si attacca alla parte del corpo interessata per iniziare poi a succhiarne il sangue. Durante il procedimento, lo stesso animaletto si ingrossa. Il “sanguettaro” dopo aver raccolto o acquistato le sanguisughe, le conservava in vasetti di vetro e, se la persona era stata colpita da un ictus cerebrale, le poneva uno di questi animali dietro le orecchie, se aveva la polmonite, lo posizionava dietro le spalle. Questa operazione era detta salasso. Dopodiché le sanguisughe venivano messe nella cenere a spurgare il sangue infetto. Il barbiere portava con sé questi animaletti chiusi in barattoli (che gli venivano forniti dai pescatori). La malattia era considerata come una punizione di una cattiva condotta, come forma esplicita di una quotidianità vissuta non seguendo le regole della comunità: quindi era necessario il rito purificatore attraverso la fuoriuscita di quei liquidi del corpo che avevano corrotto l’anima. Con un salasso si rimuovevano dal circolo sanguigno 350 o 400 ml  di sangue. Togliere il sangue, se non c’era una chiara indicazione medica, voleva dire affaticare l’apparato cardiocircolatorio, indurre un’anemia, privare l’organismo di elementi vitali. Viceversa, il salasso terapeutico poteva essere una cura molto efficace nelle malattie da sovraccarico di ferro. Il suo impiego si estendeva anche a contusioni ed ematomi applicando le sanguisughe sulla parte più gonfia. In sostituzione del salasso il sanguisugio veniva eseguito soprattutto per decongestionare organi interni, per estrarre sangue e umori “corrotti”. Pare che venisse consigliato quando si fosse subita una paura, a chi era di pressione alta al momento del cambio di stagione, ai colpi di attacchi al cuore e alle donne al nono mese di gravidanza. Bisognava fare attenzione a non addormentarsi dopo l’applicazione delle mignatte perché faceva molto male alla vista, al punto di rischiare una cataratta. L’uso diffuso delle sanguisughe ne aveva favorito in alcuni paesi l’allevamento. Il sanguettaio doveva conoscere tutti gli stagni, tutte le pozzanghere, tutti i fossi ove le mignatte potevano nascondersi, crescere, prosperare, riprodursi; in genere il loro ambiente naturale era quello delle paludi. A seconda del luogo egli entrava nel pantano che sperava fosse abitato dalle mignatte, scalzo e con le gambe nude sino al ginocchio. Si muoveva lentamente e con cautela per non intorbidire l’acqua e spaventare le mignatte che si sarebbero occultate negli anfratti della fanghiglia. Con pazienza si tratteneva immobile nell’acqua ore ed ore e spesso inutilmente. Egli spesso era costretto a battere e muovere l’acqua con un bastone. Le mignatte impaurite uscivano dalla melma e si attaccavano ai polpacci del ricercatore, il quale, quando il numero di esse era diventato alquanto consistente, le staccava ad una ad una dalla pelle delicatamente e le depositava nel recipiente con l’acqua. Oggi, con il progresso della farmacologia, l’uso delle sanguisughe in terapia è quasi completamente abbandonato, almeno nei paesi tecnologicamente più progrediti. Esse sono rimaste nella Farmacopea italiana fino agli anni Quaranta. Nel congresso del 1986 svolto nel Galles a cura della British Association of Leech Scientist, ci sono stati dei convinti sostenitori per il riutilizzo delle sanguisughe specialmente nella chirurgia plastica.