di Guido De Fusco – 3^C –
«Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura, ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta». Queste sono le profonde ed eloquenti parole pronunciate da Papa Francesco che costituiscono la pietra angolare dell’appello rivolto al Signore. E’ risuonato il 27 marzo 2020 (trasmesso in diretta su moltissime reti televisive di tutto il mondo) in una piazza San Pietro completamente vuota, paralizzata dal silenzio, e offuscato dai suoni discontinui delle sirene di alcune ambulanze. Nuvole plumbee occultano il cielo di Roma, riversando incessantemente pioggia. Inoltre, la supplica di Papa Francesco contempla un passo della Bibbia, in allusione a questo periodo dove tenebre ostili hanno invaso le nostre vite e colmandole di un vuoto addolorante. Il passo biblico narra degli apostoli in preda all’angoscia, quando in barca vengono sorpresi da un’inaspettata tempesta; essi implorano Gesù, il quale dorme sereno sulla poppa dell’imbarcazione, di redimerli da questo cruento perturbamento, che non desiste di sgomentare le loro anime. Tramite le sue direttive da maestro lungimirante, Egli placa l’agonia ossessiva dei suoi discepoli replicando: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Le parole di Gesù lasciano riflettere particolarmente: se la nostra fede è salda, se il nostro rapporto con il Signore non presenta avarie allora non c’è nulla di cui temere. Francesco attua la concretizzazione del suo messaggio mediante la benedizione “Urbi et Orbi” (locuzione latina la cui traduzione letteraria è “Alla città e al mondo”, dove “alla città” sta per Roma) e la formula dell’indulgenza plenaria, recitata dal cardinale Angelo Comastri, consacrata a tutti i malati di coronavirus e ai loro familiari, agli operatori sanitari, ai membri della protezione civile, alle forze dell’ordine, ai politici (che sono responsabili delle precauzioni da assumere) e a quanti, con sistemi differenti, lottano per garantire il bene comune, e a tutti i fedeli che lo desiderano. Solo attraverso la preghiera, espressione congrua della misericordia di Dio, possiamo purificarci moralmente e ricongiungerci con il Signore. Questo periodo di emergenza sanitaria, pieno di irregolarità e assurdità, sta rivelando il profilo negativo della società frenetica e senza concezione del tempo in cui viviamo tuttora, e dove diamo per assodato quasi tutto, anche le cose più banali e insignificanti che, del resto, non sono per nulla scontate. La calamità che stiamo affrontando in questi giorni, sembra essere stata sprigionata da una divinità superiore per ristabilire un’integrità interrotta: l’amore umano, cristiano, senza il quale non esisterebbe vita sulla Terra; siamo in una situazione sociale dove ognuno si tiene ben fisso alla sua zona sicura. In questi giorni il virus ci sta spiegando, a caro prezzo, che l’unico modo per continuare a vivere è la reciprocità, aiutarsi l’uno con l’altro. Solo così riusciremo ad andare avanti («abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato», enuncia il papa). Spero vivamente che, quando tutto sarà finito, riusciremo ad apprendere al meglio dai nostri errori, migliorandoci continuamente sia come cittadini che come persone.