di Cristian Buttazzo –
La visita guidata al Museo Ebraico di Lecce, effettuata pochi giorni fa con la mia classe, è stata molto interessante e significativa, e ci impone una riflessione seria e accorata sugli eventi che hanno segnato tragicamente la storia del novecento.
Da pochi anni, a fianco di Santa Croce, una delle più importanti chiese di Lecce per il suo splendido barocco, è stato realizzato e valorizzato il “Medieval Jewish Museum”, ubicato in un palazzo medievale dove si pensa sorgesse la sinagoga quattrocentesca che era al centro dell’antico quartiere ebraico di Lecce. La mia classe ed io abbiamo visitato le poche vie rimaste, tra le quali la “Via della Sinagoga”, così chiamata perché portava al luogo di culto, e “Via Saponea”, che prende il nome dai numerosi fossili di sapone ritrovati, poiché in quella strada con molta probabilità vi erano i laboratori degli artigiani che li realizzavano. Lungo il percorso ipogeo tante testimonianze hanno colpito noi ragazzi: abbiamo appreso che, proprio in quelle vie, si organizzava il mercato del quartiere; abbiamo visto le vasche per le abluzioni rituali, cioè per i bagni purificatori che, secondo gli storici, venivano usate in un rito che consisteva nell’immergersi per liberarsi dai peccati.
Siamo entrati poi in una sala in cui è allestita una galleria d’arte da una donna romana, che racconta attraverso le sue opere la storia di sua nonna e di sua sorella, deportate nei campi di concentramento. Una testimonianza indiretta la sua ma non per questo meno toccante. Una delle sue opere che ci dovrebbe far riflettere molto, consiste in uno specchio sul quale l’artista ha posto delle sbarre, in modo che chi specchia, veda il suo volto dietro le sbarre. Ho trovato l’idea originale e capace di suscitare una grande inquietudine, perché, specchiandoti, ti senti veramente privato della libertà e ho immaginato i prigionieri nei lager che hanno vissuto per anni questa dolorosa condizione. Alla fine la nostra guida ci ha portati in una piccola sala, dove abbiamo fatto una videochiamata con una signora ebrea che vive in Palestina e che -all’epoca era neonata- scampata alle camere a gas, ha sostato proprio qui, nel Salento, prima di rientrare con i genitori in Palestina, loro terra d’origine. La donna ricorda con gratitudine la generosa ospitalità del popolo salentino.
A questo punto il nostro percorso all’interno del museo si è concluso; è stato molto commovente e interessante ricostruire un pezzo di vita di uno dei popoli più perseguitati della storia mondiale. Spero che a questo punto si volti pagina definitivamente e che non si senta mai più parlare della superiorità di un popolo su di un altro, né di aggressioni e/o deportazioni, né di campi di sterminio né di quelle orribili aberrazioni che hanno ucciso milioni di persone.
Personalmente sono convinto che, quando si rievocano la persecuzione e la deportazione, ricordare e riflettere non è mai abbastanza.