classi IV A,B,C, don Milani
Un gemellaggio tra grandi e piccoli, con generazioni a confronto, ha portato noi alunni delle classi quarte ad incontrare studenti più grandi, quelli che frequentano l’Università della Terza età con sede ad Avellino. E così il 28 novembre scorso, accompagnata dai nostri insegnanti, una delegazione di alunni, ha incontrato questi “compagni” maggiori, illustrando attraverso immagini e didascalie, il lavoro di ricerca sul territorio che abbiamo compiuto a scuola per diverse settimane. Il nostro percorso didattico è stato incentrato sulle neviere, di cui nel passato Monteforte ha vantato una ricca tradizione.
Da sempre l’uomo ha avuto l’esigenza di trovare refrigerio, specie durante la stagione estiva, attraverso l’assunzione di cibi e bevande fredde. Oggi la tecnologia consente la produzione del ghiaccio artificiale in ogni casa, con frigoriferi, congelatori, ma non sempre è stato così. In passato l’uomo, per poter godere del privilegio di avere bevande e cibi freddi durante i mesi torridi, si ingegnò utilizzando ciò che la natura gli metteva a disposizione: la neve. Essa era merce preziosa ed un’abbondante nevicata era considerata una benedizione. L’approvvigionamento della neve ed il conseguente utilizzo delle neviere per la conservazione di questo prezioso bene, in passato ha rappresentato per l’uomo un’esigenza di assoluta importanza. Sin dall’antichità la neve era largamente utilizzata. Testimonianze architettoniche di questi manufatti sono riscontrabili presso i vari siti archeologici, mentre per quelle storicamente più recenti l’utilizzo si è protratto fino ai primi anni del ‘900. Con ogni mezzo l’uomo ha cercato di utilizzare questo prezioso genere anche quando madre natura non lo forniva, ossia durante la stagione estiva. Nei paesi a clima temperato, l’utilizzo della neve era consuetudine sia per l’uso alimentare sia per quello medico: serviva per preparare sorbetti e bevande, per conservare i cibi, come riserva di acqua potabile per i periodi di siccità, ma era usata anche per curare febbri, ascessi, contusioni.
La neve veniva raccolta in luoghi esposti a nord, freschi ed umidi, quali sotterranei, grotte, scantinati e fosse, oppure in costruzioni apposite, chiamate neviere. Queste ultime assunsero forme e tipologie diverse in funzione della zona geografica in cui si trovavano ed a seconda delle necessità locali. In talune zone dell’Appennino, le neviere erano delle semplici buche nel terreno, pressoché circolari, con diametro di 5-10 m e profonde altrettanto, con pareti di rivestimento in pietra in cui veniva conservato il ghiaccio. In altre zone, specie nell’arco alpino, ma anche in molte zone appenniniche, erano delle vere e proprie costruzioni in muratura, con il tetto a due e a quattro falde, senza finestre e con la sola porta di accesso. Quando la profondità della neviera lo consentiva, si formavano più strati di neve intervallati da strati di frasche e foglie secche, che avevano funzione isolante. Questo sistema consentiva di mantenere freddo lo strato più profondo, anche quando si estraeva la neve dagli strati più superficiali. Per il trasporto della neve nei luoghi di utilizzo erano adottati vari sistemi: talvolta sul dorso di muli, altre volte, quando le vie lo consentivano, in carretti o slitte. Nelle zone vulcaniche le neviere consistevano in un cilindro, scavato nel terreno, con una sola apertura per il carico di neve fresca e per il prelievo del ghiaccio; per garantire un sufficiente isolamento termico la costruzione era ricoperta da un grosso cumulo di terreno. Esse avevano l’ingresso rivolto verso nord, per ridurre l’irraggiamento solare diretto verso l’interno. Anche la porta d’ingresso era schermata da una fitta copertura di frasche. L’attività commerciale legata alle neviere era solitamente appaltata tramite bando pubblico, mentre la raccolta della neve era affidata a lavoratori salariati, ingaggiati nelle piazze dei principali paesi montani. Una volta raccolta, la neve veniva trasportata nella neviera, gettata dentro e pestata per essere trasformata in lastre di ghiaccio, separate da strati di paglia. Il ghiaccio era poi estratto durante l’estate e commercializzato per conservare cibi deteriorabili, per confezionare bevande fresche (si pensi al sorbetto) o per fare fronte alle cure del freddo, prescritte da medici e curatori. Le famiglie ricche avevano delle neviere proprie vicino alle abitazioni dove conservavano le abbondanti riserve alimentari. Queste costruzioni erano molto piu’ curate,` abbellite con muri di recinzione e piccoli giardini. Il tetto era arrotondato. A Monteforte Irpino “O Pagliarone” era il piu’ importante punto di riferimento per il ritrovo dei lavoratori delle neviere ed era anche il maggior centro di deposito della neve. Il proprietario diede il nome del figlio a questa neviera, facendo attaccare una targa attualmente esposta nel ristorante O Pagliarone. Nel nostro paese, per la raccolta e l’infossamento della neve, veniva ingaggiata manodopera locale e dai paesi vicini. Il luogo di raccolta, dunque, era tra la Vetriera e i Campi, proprio dove oggi sorge il noto ristorante O’ Pagliarone che un tempo era un capanno dove i lavoratori delle neviere consumavano il loro misero pasto a base di pane, castagne e patate lesse, con un po’ di vino.